Prove

Auto elettriche al prezzo di 25 mila euro: anteprima, uscita, caratteristiche

Se un’elettrica compatta costasse 25 mila euro (o anche meno), la comprereste? Le Case scommettono di sì. E perciò si preparano a lanciare, da qui ai prossimi due o tre anni, un’infornata di nuovi modelli pronti a “democratizzare” la mobilità a corrente. Che ciò effettivamente avvenga nella realtà, ovviamente, è tutto da dimostrare. Specialmente in un Paese come l’Italia, dove nel 2021 la retribuzione media annua lorda superava di soli 2 mila euro la cifra in questione (dati Istat) e il potere d’acquisto è in calo, schiacciato dall’inflazione. Non solo: fino a meno di dieci anni fa, buona parte degli automobilisti italiani riusciva facilmente ad accaparrarsi una vettura nuova per la metà del prezzo citato: difficile accettare, a parità di offerta (una compatta), di spendere il doppio. Ma è anche vero che le auto, pure quelle termiche, sono già assai più care di una volta, con i listini gonfiati dal rincaro dei materiali e dei costi di progettazione e fabbricazione, oltre che dalla ormai diffusa (e in parte obbligata) strategia dei carmaker di puntare sui margini anziché sui volumi.

Nel 2025 un circolo virtuoso. Come da tempo dimostrano alcune indagini di mercato, la voglia di passare all’elettrico ci sarebbe pure, però i conti non tornano. Presto cambierà qualcosa? Vedremo. Dai promotori del trasporto sostenibile filtra l’ottimismo: secondo un recente studio dell’associazione ambientalista Transport & Environment, la Bev da 25 mila euro potrebbe generare un virtuoso incontro tra domanda e offerta, iniettando nel circolante un cospicuo numero di veicoli con la spina e, allo stesso tempo, lasciando alle Case margini di guadagno sufficienti da garantire la sostenibilità (economica) dell’auto elettrica “pop”.

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Una c’è già. Di sicuro, l’offerta di prodotti non mancherà. Ad aprire le danze ha già pensato la Citroën, svelando la ë-C3. A suo modo, la francese rappresenta una sorta di manifesto dell’elettrica popolare, per la filosofia con cui è stata costruita – strategie industriali, ottimizzazione dei costi e dei processi produttivi – e per le sue caratteristiche tecniche. Anzitutto è un’auto di respiro globale, la cui piattaforma – aperta alle batterie come pure al motore a scoppio – è già sfruttata in mercati emergenti come l’Asia e il Sud America: l’operazione ricalca, ma solo in parte, quanto fatto dalla Renault con la Dacia Spring, realizzata partendo dal pianale della Kwid venduta in Cina, India e Brasile. In questo modo, è possibile ammortizzare su larga scala i costi di una base tecnica che, nel caso di Stellantis, genererà sinergie tra i vari brand del gruppo, come vedremo a breve. Ma il prezzo d’accesso “aggressivo” della ë-C3 – si parte da 23.900 euro – è giustificato anche da caratteristiche mirate, tra cui la taglia e la chimica delle batterie. Un pacco di accumulatori al litio-ferro-fosfato attorno ai 40 kWh (sono 44 lordi per questa Citroën), dalla densità meno favorevole, ma assai più economico, sembra essere diventato il benchmark per l’alimentazione delle Bev abbordabili. Le quali, giocoforza, imporranno qualche compromesso a livello di prestazioni: la ë-C3, per esempio, dichiara un’autonomia poco sopra i 300 chilometri e una velocità massima di 135 km/h. E nell’attuale versione base rinuncia a dotazioni come lo schermo dell’infotainment, sostituito da un supporto integrato per lo smartphone, che si trasforma in sistema multimediale di bordo grazie a un’app.

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Opel in scia. Questa ricetta è pronta per essere applicata in varie forme all’interno del tentacolare gruppo Stellantis. Come annunciato proprio al reveal della nuova C3, l’ingrediente principale della francese, cioè la piattaforma denominata Smart car, verrà cucinato in altre salse, sempre allo scopo di rendere l’elettrico appetibile a un pubblico più vasto. In totale, saranno sette i modelli del gruppo realizzati su questa architettura. Compresa, forse, l’erede della Fiat Panda. Stante la situazione, una beneficiaria di tale sinergia potrebbe essere la Opel, che ha annunciato l’arrivo, attorno al 2026, di una full electric dal prezzo di circa 25 mila euro. Sulle caratteristiche le bocche sono cucite, ma tutto porta a pensare che si tratti di una crossover sulla scia (tecnica) della nuova C3 elettrica. A partire dal 2025, del resto, tutti i nuovi modelli introdotti dal costruttore di Rüsselsheim saranno esclusivamente a corrente. E, guarda caso, nel 2026 due sue auto di fascia bassa si ritroveranno a fine carriera: la Corsa, lanciata nel 2019 e da poco aggiornata, e la seconda generazione della Mokka, che risale al 2020.

Quelle della Losanga. Passando a un altro gruppo francese, la Renault ha da tempo delineato i contorni della sua futura gamma Bev entry level, che a partire dall’anno prossimo inizierà a dare i suoi frutti. I remake di R5 e R4 sono attesi, rispettivamente, nel corso del 2024 e agli inizi del 2025. Due auto dal nome rétro, entrambe calate nella fascia inferiore del mercato, ma dalle caratteristiche differenti. La “quattro” avrà una carrozzeria crossover e un’impronta più da utilitaria. La “cinque”, invece, sarà una hatchback sfiziosa, dalle linee sportiveggianti, che ispireranno un’immancabile sorella Alpine, la A290. Non solo: l’architettura della R5 sarà condivisa anche dalla futura erede della Nissan Micra (in produzione dal 2026), nell’ambito di uno sforzo sinergico interno all’Alleanza. Per tutte, costruite sulla collaudata – e quindi economicamente ammortizzata – piattaforma Cmf-B Ev del gruppo transalpino, vige una regola ferrea: il minimo della batteria per il massimo dell’utilizzo. Dunque, aspettiamoci anche qui un’offerta base tarata attorno ai 40 kWh, confezionata però con accumulatori che dovrebbero essere del tipo Nmc (nickel-manganese-cobalto). La R5, tuttavia, prima di allargare la gamma verso il basso potrebbe esordire con un taglio maggiore (attorno ai 50 kWh), per offrire un’autonomia più rassicurante, di circa 400 chilometri. Insomma, quanto a prezzo, la prossima baby-Bev Renault potrebbe sforare leggermente il tetto dei 25 mila euro. Anche perché, parola del ceo Luca de Meo, l’obiettivo principale sarà fornire piani con rate mensili paragonabili a quelle di un’endotermica: perché “l’auto, ormai, quasi nessuno la paga cash”.

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“Polo” a corrente. Diverso è il discorso per la Volkswagen, che, per la sua futura compatta elettrica, del “prezzaccio” ha fatto una bandiera, arrivando addirittura a ipotizzare un ulteriore step al ribasso: spingersi sotto i 20 mila euro (come farà anche la Renault con l’erede della Twingo) per un’ipotetica, più piccola, ID.1, la cui fattibilità è ancora allo studio negli uffici di Wolfsburg. Si tratta di un progetto ancora più ambizioso della ID.2, una Bev sotto i 25 mila euro, che invece è già in programma ed è stata anticipata dalla concept ID.2all. Parliamo, nel caso di quest’ultima, di una compatta lunga poco più di quattro metri, realizzata su una versione a trazione anteriore della piattaforma Meb. Il prototipo si presenta con un look da Polo “duepuntozero” e un grande bagagliaio. Soprattutto, promette un’autonomia di 450 chilometri nel ciclo Wltp, che, qualora venisse confermata su strada, renderebbe la ID.2 assai competitiva nel suo segmento di mercato.

Anche Elon Musk (suo malgrado) ci prova. Dalla carrellata fatta sin qui, la rincorsa all’auto elettrica “pop” appare perlopiù un affare tra marchi generalisti, mentre le Case premium si concentrano sui segmenti superiori per massimizzare i margini di guadagno e ingrassare gli utili. L’eccezione alla regola, tuttavia, esiste sempre. E in questo caso risponde al nome di Tesla, disposta a sacrificare in parte i profitti a favore dei volumi, come ultimamente ha dimostrato con le aggressive politiche applicate alla Model 3. La seconda tappa di questa offensiva passa per un nuovo modello, tanto chiacchierato quanto, finora, invisibile: la famosa Tesla da 25 mila dollari, annunciata nel 2020, promessa per il 2023, ma ancora di là da venire. La sua gestazione, oltre che lunga, è piuttosto controversa, com’è emerso dall’ultima biografia su Elon Musk: in un libro dai colpi di scena degni di un giallo, un paio riguardano proprio la compatta sin qui ufficiosamente chiamata Model 2. Il primo è che Musk dopo averla strombazzata, era sul punto di cancellarla dai piani. Il secondo riguarda invece il design dell’auto, che a quanto pare s’ispirerà a quello del Cybertruck. Proprio lo stile dirompente – insieme con la prospettiva di realizzarla su una base tecnica ad alto livello di automazione, sviluppata in parallelo anche per un robotaxi – avrebbe convinto il grande capo a dare finalmente il via libera. Ma occorre ancora implementare la formula per contenere i costi: la Tesla da 25 mila dollari, infatti, beneficerà di processi industriali ottimizzati, avrà un powertrain meno costoso e disporrà di batterie inedite, più economiche da fabbricare. Quando? Probabilmente dopo il 2025.

Cabala e ombre cinesi. Eccolo di nuovo, quindi, il numero magico: quel 25 che sembra raccordare costi e tempi dell’elettrica popolare, anche secondo un recente studio di Transport & Environment titolato “Small and profitable”. I cui risultati – in base a un sondaggio sulle intenzioni d’acquisto in sei Paesi europei, tra cui l’Italia, contenuto nel report – anzitutto evidenziano come una Bev da 25 mila euro potrebbe fare una certa differenza per il pubblico. Se i dati dell’indagine si riflettessero sul mercato – riporta l’osservatorio –, la quota delle Bev potrebbe salire al 35%, mettendo su strada circa 1 milione di vetture no-oil in più all’anno. Ma il punto d’arrivo della ricerca è un altro: un’elettrica così economica è sostenibile? E ai costruttori conviene? In entrambi i casi, T&E risponde di sì, al culmine di un’elaborazione su tre diversi scenari possibili, determinati dalle seguenti variabili fondamentali: i miglioramenti nella produzione, i costi delle batterie, i tassi di cambio euro-dollaro, i prezzi delle materie prime chiave e dei semiconduttori. Nello specifico, lo studio fa un distinguo tra condizioni “favorevoli”, “meno favorevoli” e “peggiori”. Va detto che soltanto nel primo caso le Case sarebbero in grado di proporre, entro il 2025, una Bev entry level così competitiva, ricavandone allo stesso tempo un margine adeguato (stimato in un 4%). Il numero magico, 25, è però allo stesso tempo un segnale di pericolo: quello della concorrenza cinese, che da qui a metà decennio è destinata a farsi consistente. Anche qui, gli approfondimenti in materia aiutano a delineare le prospettive, piuttosto cupe per l’industria continentale. Secondo gli esperti in automotive del Politecnico di Chemnitz (Germania), entro il 2025 un quarto delle immatricolazioni europee sarà costituito da auto “made in China”. La società di consulenza AlixPartners ha rilevato invece come negli ultimi quattro anni, nel campo dell’elettrico puro, la quota di mercato dei costruttori cinesi sia sostanzialmente raddoppiata. Questi ultimi, soprattutto, si preparano a riempire quello spazio, nella fascia bassa dell’offerta di Bev, per ora trascurato dai player del Vecchio Continente. Almeno finché, attorno al fatidico 25, l’elettrica “pop” europea non troverà una quadra.

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