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Polestar: «Per noi la sostenibilità non significa solo emissioni, ma ogni parte dell’auto. E siamo solo all’inizio»

«Con le auto elettriche non dobbiamo preoccuparci delle emissioni tossiche prodotte dai motori a combustione, ma il nostro lavoro assolutamente non finisce quiВ». Fredrika Klarén occupa in Polestar il ruolo di responsabile in quella divisione sostenibilità che è l’anima più esigente sul ruolo dell’industria nella società. C’è l’idea forte che la produzione di vetture non debba sfruttare gli equilibri attuali, ma casomai fare da traino per cambiarli. C’è come obiettivo la realizzazione del progetto Polestar 0, che punta a creare un’auto davvero a impatto climatico zero entro il 2030. In ballo non c’è più soltanto l’efficienza su strada, ma una svolta radicale, cioè nuovi materiali e tecnologie che riescano ad abbattere in ogni singolo elemento il suo «carbon footprint», quella impronta di anidride carbonica che è la quantità complessiva emessa in tutto il suo ciclo di vita, dalla produzione al suo smaltimento. Un nuovo sistema che poggia esclusivamente su fonti rinnovabili, quando finora tutti i processi utilizzati dipendono dall’energia prodotta attraverso il consumo di petrolio, gas naturale o carbone, con emissioni di gas serra compensate abitualmente piantando alberi. «Come industria automobilistica nel suo complesso, stiamo fallendo gli obiettivi che i cambiamenti climatici ci impongono», spiega Fredrika Klarén. «Siamo in un ritardo molto maggiore del previsto. Le vendite di auto elettriche stanno aumentando, ma se si guarda al loro numero rispetto al totale di quelle che circolano, siamo lontanissimi dall’avere un impatto sul clima come ce lo aspettiamo». Il progetto «Polestar 0» è un sasso nello stagno, oppure rappresenta un piano concreto? «Abbiamo avviato un intenso dialogo con altri costruttori, ma non abbiamo potuto fare a meno di notare che l’industria automobilistica è frammentata, sembra che non tutti vedano le stesse cose, che preferiscano il silenzio. Ricordo spesso che tutte le emissioni previste per il settore auto da qui al 2050 saranno in realtà rilasciate già entro il 2030, con anidride carbonica superiore del 75% rispetto agli obiettivi previsti dagli accordi internazionali per limitare il riscaldamento climatico. “Polestar 0” è un progetto che porterà alla nascita di una vettura a zero emissioni totali nel 2030, ma già oggi è una piattaforma scientifica di lavoro per avviare una collaborazione con altre aziende, stingere accordi su direttive molto chiare, certificare i risultati con trasparenza, perché le tecnologie e i materiali che si svilupperanno andranno oltre l’auto, contribuendo alla decarbonizzazione su vasta scala di altri settori industriali». L’auto elettrica non è sufficiente? «Non stiamo spostando le nostre migliori competenze nelle nuove tecnologie alla velocità che occorre, questo è il punto. La via più rapida per risolvere la crisi climatica? Se non è l’auto elettrica, allora è la bicicletta. I veicoli a batteria sono la via più veloce, ma anche il tassello di un nuovo schema, dove l’anidride carbonica deve essere eliminata in ogni occasione possibile, e non solo su strada. Esattamente a questo Polestar sta lavorando. I consumatori sono stanchi di sentirsi dire che è già tutto perfetto e il dieselgate ci ha insegnato che il rigore è una necessità. Un modello come Polestar 2 non è ancora una vettura a emissioni zero nel suo intero ciclo di vita, ma è tangibilmente migliore che in passato. Siamo già credibili nel nostro impegno a diminuire le emissioni». Ogni auto è fatta di oltre 10 mila componenti, da dove si comincia per rendere la produzione più sostenibile? «Siamo molto severi». Allora ci racconti nel dettaglio. «Sul calcolo dell’impatto ambientale di ogni elemento della vettura valutiamo tre direttrici principali, ossia le componenti in acciaio, quelle di alluminio e la batteria. Insieme, rappresentano la maggioranza dell’impatto di emissioni in anidride carbonica di una vettura elettrica. È un processo di affinamento continuo, ma come abbiamo dimostrato con i materiali compositi, esiste un margine di miglioramento enorme. Non dobbiamo lasciarci distrarre dai carburanti sintetici o dall’evoluzione delle motorizzazioni che ancora utilizzano quelli fossili. È in questo settore che abbiamo bisogno di tutto lo sforzo disponibile. Ad esempio, su Polestar 2 siamo riusciti a ridurre l’impronta carbonica di 3 tonnellate focalizzandoci principalmente sull’alluminio, assicurandoci cioè che venisse realizzato sfruttando energia prodotta da fonti rinnovabili. Abbiamo bisogno di un nuovo orizzonte tecnologico su plastiche e materiali tessili a base biologica, e soprattutto di costruire da zero una nuova economia attorno alle batterie, con una infrastruttura su larga scala per riciclare ciò che c’è di utile, che altrove viene estratto spesso in condizioni limite». La sostenibilità non si scontra con l’etica? «Il settore dei metalli e dei minerali offre margini all’illegalità e al poco rispetto dei diritti umani. È un mercato dove noi siamo i clienti e pretendiamo trasparenza e che vengano condivisi con noi dati certi da parte dei fornitori sulla provenienza delle materie prime». Cioè? «Noi lavoriamo con produttori di batterie che assicurano la provenienza e la tracciabilità di elementi chiave come Nichel, Cobalto o Litio, attraverso la certificazione digitale blockchain. È uno schema robusto, un meccanismo che non può essere aggirato o compromesso, e che soprattutto trasmette la garanzia che tutto il processo di estrazione rimanga etico. Su questo la nostra sorveglianza è severissima. L’auto elettrica si diffonderà, ma dobbiamo tenere alto il livello di vigilanza. Su Polestar 3 offriremo già la tracciabilità completa di Nichel e Litio. Anche per questo amo il termine sostenibilità, che è prezioso, ma anche chiaro nel difendere i valori e le persone».

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