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Polestar e Rivian, industria dell'auto “fuori strada” sugli obiettivi climatici

L’industria dell’auto è parecchio “fuori strada” nel perseguimento del contenimento del riscaldamento globale a 1,5° entro il 2050. Lo dice il rapporto commissionato dalla Polestar, marchio di Volvo Cars, di proprietà dei cinesi di Geely, e dall’americana Rivian, e redatto dalla società di consulenza Kearney. Gli analisti hanno stimato uno sforamento del 75% senza interventi congiunti e immediati. Il dato sconfortante riguarda l’apporto delle auto elettriche, che da sole non bastano affatto per raggiungere gli obiettivi sul clima fissati dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) e fatti propri dall’industria dell’auto. Quest’ultima può fabbricare veicoli a zero emissioni e può intervenire sulla filiera per abbatterne o limitarne la dispersione di gas a effetto serra. Diversi costruttori si sono già prodigati nel comunicare di aver modificato i contratti con i propri fornitori in questo senso, spesso forzando la mano anche sugli aspetti sociali degli accordi, sollecitando un maggior rispetto per i diritti dei lavoratori. Spesso sono peraltro gli stessi dipendenti a fare le spese delle politiche dei costruttori, non ultimi quelli della Rivian, che ha recentemente deciso di contenere i costi pianificando la soppressione del 6% dei posti (fra gli 800 e i 900 occupati). Ma le case automobilistiche non possono intervenire anche su una voce strategica come quella delle fonti energetiche: per il raggiungimento degli obiettivi sul clima, lo studio della Kearney sollecita l’immissione di più energia prodotta da fonti rinnovabili nelle reti globali. Che poi, nonostante il problema delle scorie, quella nucleare sia stata promossa a sostenibile è un’operazione che richiede una riflessione a parte. La stessa diffusione delle auto elettriche – appena lo 0,8% del parco circolante europeo nel 2021 (ultimo dato disponibile) – potrebbe non essere così veloce come sperato perché i governi stanno progressivamente abbandonando gli incentivi. Due esempi su tutti, che riguardano il primo mercato al mondo e il primo in Europa. In gennaio le vendite ai privati in Cina sono crollate del 38% e in Germania il mercato delle plug-in è stato dimezzato (-53,2%): nel Regno di Mezzo i bonus sono stati parzialmente eliminati, mentre l’esecutivo tedesco ha confermato gli stimoli economici, peraltro diminuiti, per le sole elettriche, escludendo da settembre quelle aziendali che incidono sui volumi per oltre il 60%. Le auto da sole sono responsabili del 15% sulle emissioni globali di gas a effetto serra. Lo stesso Volker Wissing, che a Berlino è ministro federali dei trasporti, si è schierato contro le norme Euro 7: la sua linea converge peraltro con quella del governo italiano. Sempre secondo lo studio commissionato da Polestar e Rivian, senza misure urgenti e condivise il comparto sfonderà già nel 2035 l’ammontare di CO2 previsto fino al 2050. L’industria automobilistica persegue strategie differenti, basti pensare a Toyota, il primo costruttore al mondo, che con Gill Pratt, lo “scienziato” ingaggiato dal colosso nipponico, è tornato a bocciare l’opzione full electric anche perché, tra le altre cose, mancherebbero alcune delle materie prime necessarie. Fredrika Klarén, responsabile della Sostenibilità di Polestar, ricorda non a caso che “ci sono aziende che non ammettono nemmeno che il futuro sia elettrico”. “La crisi climatica è una responsabilità condivisa – insiste la manager – e dobbiamo andare oltre le sole emissioni allo scarico. Questo studio chiarisce che dobbiamo agire subito e insieme”. Gli analisti della Kearney forniscono un dato incoraggiante: nel 2021 gli investimenti globali sulla sostenibilità hanno superato i 35 trilioni di dollari, pari a più di un terzo di tutte le attività dei cinque principali mercati al mondo. A quanto pare si tratta di operazioni anche redditizie: puntare sull’ambiente, insomma, sembra convenire anche economicamente.

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