Ambiente

Petrolio (e gas) russo, le sanzioni non bastano

In sei mesi l'Unione Europea avrebbe versato 85 miliardi di euro alla Russia, al fine di acquistare gas, petrolio e carbone

Petrolio (e gas) russo, le sanzioni non bastano

L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha portato a una guerra, che sarebbe definibile di posizione, particolarmente lunga e stordente. Il mondo occidentale ha cercato di fermare questa operazione con le sanzioni economiche, e la Russia, forte delle sue riserve naturali, ha risposto chiudendo i rubinetti del gas, oppure limitandoli, e trovando partner alternativi per la vendita del suo petrolio. Le sanzioni sono state efficaci al fine di ridurre l’economia del Paese comandato da Vladimir Putin e dai suoi siloviki, ma le diverse scappatoie momentanee e il rapporto di interdipendenza con l’Europa non hanno aiutato.

Il risultato è che in sei mesi l’Unione Europea avrebbe versato 85 miliardi di euro alla Russia, al fine di acquistare gas, petrolio e carbone. Il primo importatore è stata la Germania, 19 miliardi, seguita da Olanda (11,1), Italia (8,6 miliardi), Polonia (6,7 miliardi) e Francia (5,5 miliardi). “A luglio e ad agosto le importazioni della Ue sono però calate del 35% rispetto ai livelli di gennaio-febbraio, e questo trend è destinato ad accentuarsi“, riporta il Sole 24 Ore.

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I soldi continuano però ad affluire nelle casse russe, perché ad acquistare i suoi combustibili fossili sono stati altri Paesi: Cina, India, Emirati, Turchia, Egitto. Con questi accordi l’invasione può essere finanziata ancora. L’export russo andrà a diminuire per gas, carbone, GNL. Solo il petrolio è venduto maggiormente, perché scontatissimo: è al 20% in meno rispetto al prezzo di mercato.

Sempre secondo il Sole 24 Ore, le sanzioni sul petrolio dovrebbero aumentare per essere incisive. Soprattutto perché quelle in atto oggi sono raggirabili attraverso alcune tecniche specifiche “che consentono alle società petrolifere russe sanzionate di portare ugualmente i loro prodotti nel mondo. Spesso con l’aiuto di armatori di Paesi dell’Unione europea, come Grecia, Malta e Cipro, che permetterebbero trasbordi non consentiti, ship to ship, di petrolio russo sulle loro tanker, oppure tramite navi di cui non si riesce a risalire all’armatore, che fanno parte di una flotta ombra, la quale ha già avuto un ruolo chiave, a suo tempo, nell’eludere l’embargo posto sui commerci petroliferi di Iran e Venezuela. Lloyd’s List ha stimato che, dall’inizio del conflitto fino ai primi di giugno, «4,5 milioni di barili di greggio al giorno, per un valore di circa 509 milioni di dollari americani» abbiano lasciato la Russia“.

La questione è anche ambientale: cercando fonti alternative e rinnovabili si potrebbe troncare ulteriormente la dipendenza da Paesi che non sono campioni di democrazia. Si investirebbe così nella soluzione di un altro problema assai grave: il cambiamento climatico, le cui conseguenze si vedono già oggi.

FP | Samuele Prosino RIPRODUZIONE RISERVATA

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