Per lo stile di questa coupè il patron Colin Chapman si è rivolto alla Italdesign di Giorgetto Giugiaro - di MASSIMO TIBERI
Nell’immaginario collettivo è l’auto di 007 che si trasforma in sommergibile o quella guidata da Julia Roberts con a fianco Richard Gere in “Pretty woman”, ma in realtà la Esprit è stata soprattutto una pietra miliare nella storia della Lotus. Dopo il primo esperimento con la Europa, nel 1975 al Salone di Parigi entra in scena infatti un’altra granturismo a motore posteriore-centrale che darà una svolta all’immagine di marca e tanto longeva da restare in produzione quasi trent’anni.
Design italiano
Per lo stile, il patron Colin Chapman si è rivolto alla Italdesign di Giorgetto Giugiaro che, superando qualche controversia e dopo la concept Silver Car del 1972, firma una coupé due posti dall’aspetto innovativo e che suscita subito ampi consensi. La forma a cuneo, i tagli spigolosi, i fari a scomparsa, il grande parabrezza e il lunotto sollevabile quasi orizzontale, lo spoiler anteriore e l’accenno posteriore danno forte personalità ad un’auto bassa e compatta (lunghezza di 4,19 metri e altezza di 1,12).
Tema leggerezza
L’imperativo, categorico per la Lotus, della leggerezza non è del tutto rispettato, in confronto ai modelli precedenti, ma siamo comunque intorno ai 1.000 kg, grazie alla carrozzeria in vetroresina montata su un telaio a trave centrale. L’abitacolo non è dei più spaziosi, i sedili ad alto contenimento penalizzano i più corpulenti e il design estremo non facilita la visibilità, ma l’assetto corsaiolo contribuisce al fascino della Esprit e mette in secondo piano anche le finiture non eccelse, da notare semmai i piacevoli rivestimenti in tessuto scozzese.
Sportività al top
Una storia di successo
La prima generazione si esaurisce nel 1978, dopo meno di 900 esemplari costruiti, e poi sarà un susseguirsi di oltre venti versioni segnate da importanti tappe di evoluzione, estetica e tecnica, del progetto. Nel 1980 viene adottato un 2,2 litri turbo da 210 CV, successivamente anche aspirato. Un restyling ad opera di Peter Stevens dona ulteriore grinta e, a partire dal 1988, si aggiungono via via elementi aerodinamici come le minigonne e un appariscente alettone posteriore, mentre il quattro cilindri sovralimentato raggiunge i 265 CV. Un secondo intervento sullo stile di Julian Thomson, che arrotonda le forme, viene accompagnato da sostanziosi progressi negli allestimenti, ormai con accenti di lusso e rivestimenti in radica e pelle. Intanto, per quanto riguarda la guida, impianto frenante e sterzo servoassistiti, ABS e adeguamenti negli assetti accentuano il carattere da granturismo.
Del 1996 l’ultima due litri turbo e il definitivo salto verso il top di categoria, listini compresi, quando la Esprit monta un V8 3,5 litri biturbo da 355 CV, per superare i 280 km/h e accelerare da 0 a 100 in meno di 5 secondi. La “final edition”, rivista da Russel Carr, porta al termine della produzione nel 2004 e la quota complessiva a 10mila 600 unità. Nel corso della carriera, numerose le varianti a tiratura limitata, a partire dalla JPS del 1978, con i colori della marca di sigarette John Player Special che vestono le Lotus di Formula 1, e dalla Essex del 1980 dedicata alla Essex Petroleum altro sponsor nelle competizioni. Non mancano, inoltre, edizioni celebrative e le elaborate con componenti riprese dai modelli da corsa. I tratti fondamentali e l’impronta di Giugiaro comunque non vengono mai traditi, a conferma di quanto riuscito fosse stato il suo lavoro, una prova straordinaria di design che ha saputo sfidare il tempo.