Sirene spiegate che strillano per la città, ruote fumanti e quell’inconfondibile rumore del bialbero che entra dritto nell’orecchio per scendere fino al cuore e inondarlo di calore. Quel motore è unico, perché è capace di esprimere forza, vigore e potenza. Anche semplicemente dagli altoparlanti di una televisione viene la pelle d’oca dall’emozione a sentirne una nota. Poi curve disegnate in modo spericolato e inseguimenti folli ad altissima velocità tra persone di malaffare e forze dell’ordine. Quante volte abbiamo visto scene simili in uno dei tanti film del genere “polizziotesco” anni Settanta, così in voga nell’Italia di quel periodo. La protagonista di ogni pellicola era lei: l’Alfa Romeo Alfetta. Un’auto imprendibile, affilata come una sciabola, ideale tanto per una fuga quanto per un inseguimento. Insieme alla sua “antenata” Giulia, l’Alfetta ha incarnato lo spirito battagliero delle berline del Biscione, quello delle auto da famiglia che vincono le corse. Una filosofia gagliarda e orgogliosa.
Si può osar di dire che per quasi una dozzina di anni lei ha dettato il passo, anche al cospetto della concorrenza straniera. Merito di una linea vincente, di una meccanica raffinata e di motori al vertice della briosità. Un pacchetto irresistibile per tutti, come ci ricorda il cognato di Lino Banfi in “Al bar dello sport”, che scoperta la vincita di oltre un miliardo al Totocalcio da parte del parente, confessa il desiderio di comprare l’Alfetta per 20 milioni di lire: “E che saranno mai venti milioni di lire adesso?”; “Beh, sono pur sempre venti milioni”. Un mito che diventa fenomeno nazional popolare.
Un’eredità pesante
Alfetta
L’Alfetta stupisce il mondo
Il passo d’addio
Nel tempo l’Alfetta riceve vari restyling, che non la snaturano mai. Lei resta sempre fedele a sé stessa. Da una parte perde qualcosa, ma dall’altra ne aggiunge di nuove, come ad esempio il motore turbodiesel, che diventa il primo sovralimentato a gasolio per un’auto italiana nel 1979. Nel 1975 prende un biglietto di sola andata per volare oltre Oceano, tuffandosi nel mercato americano dove acquista la denominazione di Sport Sedan, misurandosi con il cuore sportivo italiano con le varie muscle car a stelle e strisce. Poi, c’è la sua derivata l’Alfetta GTV, la coupé a forma di cuneo, che infiamma le strade e trionfa nelle piste (dominio incontrastato nel Campionato Europeo turismo tra il 1982 e il 1985). Nel 1984 l’Alfetta abbandona il suo trono, dall’alto di 475.000 esemplari venduti. Il suo vuoto non viene colmato dall’Alfa 90, sua erede designata, né tanto meno dalla Alfa 164, che abbandona il prestigioso schema transaxle per una meno nobile trazione anteriore. L’Alfetta, forse, è stato il vertice toccato dall’Alfa Romeo, dove poi non ha più osato. Gli uomini di Arese fecero vedere al mondo come si costruisce una berlina veloce, precisa, brillante e raffinata. Oggi, per rivivere quei fasti basta sintonizzarsi su un vecchio film poliziesco all’italiana e in un attimo siamo dentro a un’Alfetta a scodare alla caccia di qualche bandito.