Skoda – I segreti di un crash test a cinque stelle
Una lunga storia. In un corridoio del Polygon Test Centre ci imbattiamo in una vecchia 100 L preceduta da uno strano marchingegno: della sua storia parlerò più avanti, ma lei è lì per ricordarci che, da queste parti, alla sicurezza passiva delle auto si lavora da un bel po’. L’occasione della nostra visita è infatti una ricorrenza particolare: i 50 anni dal primo crash-test ufficiale in Repubblica Ceca, datato 1972, pietra miliare del percorso che ha portato la Skoda ad essere, oggi, uno dei marchi di riferimento in materia. Giusto per dare dei parametri, da quando l’Euro NCAP ha introdotto la valutazione da zero a cinque stelle i modelli della Casa boema hanno sempre ottenuto il rating massimo. Nel 2021, addirittura, l’ente per la sicurezza ha nominato la Fabia e l’elettrica Enyaq iV best in class nelle loro classi di appartenenza, rispettivamente quella delle Small family car e quella delle Large off-road.
Più che un obiettivo, un “credo”. Numeri alla mano, però, c’è un dato che fa pensare: dei 35 modelli sin qui testati dall’Euro NCAP nel corso del 2022, ben 27 hanno ottenuto le fatidiche cinque stelle. Perciò viene da chiedersi: sono tutti bravi oppure il metro di giudizio è di manica larga? In questo senso, la nostra incursione è servita a trovare delle risposte, sebbene non sia stato possibile assistere dal vivo a un vero e proprio crash test. Attraversando i locali del Polygon, intervistando gli addetti ai lavori e osservando da vicino alcuni degli strumenti del mestiere, ci si può rendere conto di quanto studio, lavoro e tecnologia supportino lo sviluppo della sicurezza attiva e passiva di un’auto. Specialmente per una Casa, come la Skoda, che come obiettivo minimo pone sempre lo score massimo.
Quella strana elettrica “pasticciata”. Nelle vicinanze di quel che appare un muretto di legno e scopro invece essere una parete di misurazione per registrare le forze dalle auto generate nell’impatto, che dietro al pannello superficiale nasconde uno spessore a base di blocchi di sensori ruba l’occhio un’insolita Enyaq scarabocchiata da linee, numeri e puntini: sono alla stazione dedicata ai test di protezione dei pedoni. Di questi, già nelle prime fasi di sviluppo se ne compiono oltre 200 per ogni nuova Skoda; per lo più si tratta di simulazioni dell’impatto di un corpo (può essere una coscia, una gamba, la testa di un adulto o di un bambino) contro il paraurti, il cofano o il parabrezza. I punti contrassegnati da numeri indicano le zone in cui l’Euro NCAP potrebbe testare le reazioni dell’auto per misurarne la capacità di tutelare pedoni e ciclisti in caso di collisione. Questa caratteristica passa anzitutto dal modo in cui è plasmata e progettata la carrozzeria: il cofano, per esempio, non deve presentare spigoli vivi o strutture dure nella parte anteriore. L’altro contributo in materia arriva dall’elettronica: sistemi come il Front Assistant (di serie, al pari del mantenimento di corsia attivo, su tutte le Skoda attualmente a listino in Europa) hanno una funzione di protezione preventiva di pedoni e ciclisti. Cosa si intende con ciò? Che questi Adas sono in grado di riconoscere la sagoma dei passanti e leggerne la traiettoria: si tratta, cioè, di sistemi più sofisticati di una semplice frenata di emergenza capace di evitare il tamponamento con il veicolo antistante. Disporre dei requisiti minimi di Adas richiesti è un aspetto decisivo per riuscire a ottenere cinque stelle dall’ente, che proprio per questo dal 2016 prevede la possibilità, per un singolo modello, di effettuare due valutazioni: una basata su una vettura dotata del solo equipaggiamento di sicurezza standard su ogni variante della gamma del modello in tutta l’Unione Europea, e l’altra su un veicolo integrato da un “pacchetto di sicurezza” aggiuntivo, ma solo se tale pacchetto è offerto come optional su tutte le varianti del modello e in ciascuno dei mercati europei. Per completare il suo rating, l’Euro NCAP verifica la funzionalità e le prestazioni degli Adas nella guida normale e negli scenari più ricorrenti in cui avvengono degli incidenti. Questi dispositivi vengono messi a punto dalle Case con l’aiuto dei cosiddetti ufo, bersagli semoventi a forma di auto, motocilista, ciclista o pedone, che devono essere riprodotti piuttosto fedelmente (perché il sistema sia poi in grado di riconoscerli nella realtà) e che poggiano su piattaforme mobili, capaci di spingerli anche a 80 o 100 km/h.
Tutto ha inizio da un razzo a vapore. Istituito dal TV nel 1996 e poi acquistato dalla Skoda nel 2011, il centro Polygon è stato modernizzato e ampliato negli anni fino a diventare una struttura all’avanguardia. Qui il costruttore può implementare i risultati della ricerca in una fase molto precoce dello sviluppo del veicolo, spiega Johannes Neft, membro del board per lo Sviluppo tecnico. Fantascienza, se si ripensa ai primi crash test che hanno coinvolto le Skoda mezzo secolo fa o forse di più. Il primo in assoluto potrebbe risalire infatti al 1968, quando nello stabilimento di Mladá Boleslav una 1000 MB è stata fatta schiantare contro un muro a una velocità di circa 20 km/h. Ma il primo crash test ufficiale (perché documentato) è stato condotto dall’Uvmv (l’Istituto statale per la ricerca sui veicoli a motore) nel 1972. Al tempo, nell’ex Cecoslovacchia, l’omologazione di sicurezza non era ancora obbligatoria, a differenza dei Paesi dell’Europa occidentale, ma l’Uvmv aveva deciso di fare una prova seguendo le normative Unece, e perciò, tramite un razzo a vapore, ha spinto una Skoda 100 L contro il muro a circa 50 km/h. Il tutto ripreso da una telecamera ad alta velocità, proprio come accade oggi.