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Porsche – 911 Dakar: nata per andare (forte) in off-road

porsche – 911 dakar: nata per andare (forte) in off-road

Porsche   – 911 Dakar: nata per andare (forte) in off-road

Una Dakar te la puoi spendere sempre, se ragioni da Marketing. Se poi la vinci, come è successo a Porsche nel 1984, puoi dedicarle addirittura una livrea. Anche se sono passati quasi quarant’anni. Eppure, non è questa la notizia. Pur se bellissima, la replica Dakar è una show-off, una vetrina, qualcosa che ha un sapore di unicità, di collezionismo (saranno 999). La versione con colorazione normale, invece, è un pensiero stupendo. Proibito, ma possibile. Quella follia che forse faresti. ciò che ti rappresenta, pur se consapevolmente snob.

Voluta troppo presto. Il reparto Ricerca e Sviluppo della Porsche propose questo progetto ben 11 anni fa al Marketing di Stoccarda, senza però ottenere l’approvazione. E così andò avanti, con svariati tentativi nel corso degli anni. Ma ora cosa ha acceso la lampadina? La restomod mania. Se ne vedono di tutti i colori. E quindi, devono aver pensato, perché non farla all’origine? Meglio tardi che mai, diciamo noi.

Muscoli e artigli: pronta a tutto. La 911 Dakar non è una di quelle auto di cui potresti sentire la mancanza. Eppure, quando le sei di fronte, è un colpo al cuore. Non solo perché è più alta di 50 mm (e, volendo, si alza ancora di 30 mm sia all’anteriore sia al posteriore), ma perché ha un’anima tutta sua. Vuoi per i passaruota, i brancardi allargati (e protetti), i cerchi ispirati ai mitici Fuchs o per i suoi pneumatici dedicati, dei Pirelli Skorpion All Terrain 245/45R19 all’anteriore e 295/40R20 al posteriore. O ancora per le protezioni d’acciaio e gli occhielli di traino sfacciati, maxi, con colore a contrasto. Il cofano è quello di carbonio della GT3, le enormi prese d’aria frontali sono più grosse e protette da una rete metallica, l’ala posteriore è fissa e anch’essa di carbonio.

Regina dell’outdoor. E poi c’è quel portapacchi che ti fa sognare, perché oltre alla tanica, alle slitte artigliate e alla borsa ignifuga, ci potresti mettere qualsiasi strumento della tua passione (tavola, da snow o surf, in primis). Ma è come è realizzato a conquistarti: robusto ma sottile (porta 42 kg), sfrutta gli attacchi di serie, ha delle luci integrate perfettamente incorporate e una presa di servizio che si innesta dove in origine c’è l’antenna Gps. In sintesi, si integra perfettamente, anche se su un’auto così è un po’ come far indossare dei doposci a una modella di intimo.

Luxury rough. Nell’abitacolo ci sono solo i sedili anteriori, della GT3, che sono a guscio e di carbonio. I vetri sono alleggeriti e anche la batteria è più leggera, ma non pensate che l’ambiente sia spartano, perché potrà essere pensata polvere e fango (ma quante 911 Dakar si sporcheranno veramente?) ma ci sono Alcantara, cuciture a vista e tanti dettagli ricercati con, in più, una targhetta in rilievo sul cruscotto. Non fosse per i nomi delle modalità di guida aggiuntive, Rally e Off-Road, ti sentiresti su una normalissima 911. La prima mantiene una trazione sbilanciata al posteriore e gestisce meglio le alte velocità su fondi compatti, mentre la seconda è per i tratti di fuoristrada più impegnativi, con la presenza di rocce e dislivelli importanti.

Tutto intorno a loro, le sospensioni. Tecnicamente, la 911 Dakar non ha sospensioni dall’architettura differente rispetto alle altre 992, ma a variare sono l’escursione, la taratura e la loro gestione elettronica. Il lift elettrico di 30 mm consente di viaggiare con gli ammortizzatori tutti estesi fino a 170 km/h, dopodiché l’auto si riposiziona automaticamente sull’assetto standard. Le ruote posteriori sono sterzanti.

All’occorrenza, salta. Il banco di prova per il suo sviluppo è stato Dubai, ci ha rivelato il project leader Thomas Krickelberg, ma i collaudatori l’hanno portata anche in alcune piste di Motocross, percorrendole al contrario (quindi con il profilo dei salti più accentuato). Questo per mettere alla prova l’angolo di dosso della 911 Dakar che, pur non avendo un’altezza da terra esagerata, corrisponde a quello della Cayenne per via del suo passo più contenuto.

Cuore normale. A spingere la Dakar c’è un sei cilindri biturbo di 3.0 litri derivato dalla 911 GTS, con 480 CV e 570 Nm, abbinato a un cambio automatico doppia frizione Pdk a otto rapporti e ovviamente alla trazione integrale. Per lo 0-100 Km/h bastano 3,5 secondi, mentre la velocità massima è limitata a 240 km/h per via dei pneumatici da off-road (hanno anche fianchi rinforzati e doppia tela in carcassa).

Per pochi. Prodotta in numero limitato, la 911 Dakar avrà 2.500 possessori, che sborseranno almeno 222 mila euro (per il Rally Design Package ne servono 26 mila in più). E, visto che sono andate a ruba ancora prima che l’auto venisse ufficialmente presentata, viene logico pensare che sarebbe potuta essere maggiore la produzione (almeno tre volte altrettanto, dice Thomas Krickelberg).

I limiti della coperta corta. A livello di guida su asfalto, per farci capire la sensazione, ci hanno detto che quasi è come condurre una 911 dotata di gomme invernali. Si va un po’ sulle uova, per via della scolpitura importante (9 mm e sbilanciata nel rapporto vuoto/pieno a favore del primo), ma poi si recupera su terra e brecciolino. Per avventurarsi in una dimensione nuova, perché un conto è andare in off-road, un altro è andarci veloce (come può, e deve fare, una Porsche).

Tutto il mondo è Paese. Ma sapete, alla fine, qual è la vera notizia? Che 11 anni fa, quando l’R&D fu rimbalzato dal Marketing, tra i sostenitori del progetto c’era anche un giovane che di nome faceva Mitja Borkert. Oggi, quel signore è a capo del design della Lamborghini: è lui il papà della Huracán Sterrato, altra interpretazione tassellata di un mito a quattro ruote. Vuoi vedere, ora, che la gara è a chi va più veloce fuori strada? Più che paradosso, realtà.

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