Il paradosso della Formula E di oggi è che essere al comando della corsa, soprattutto nelle fasi iniziali, costituisce uno svantaggio. Il perché ce lo spiegano i due piloti della DS Penske, Jean-Eric Vergne e Stoffe Vandoorne
Nelle due gare della Formula E a Misano si sono visti innumerevoli avvicendamenti al comando della corsa, con una serie di piccoli contatti tra piloti che si affiancavano l’uno accanto all’altro. Alla base di questa vivacità c’è un paradosso: essere al comando della gara è uno svantaggio, soprattutto nelle battute iniziali della corsa. Il perché di tutto questo ce l’hanno spiegato i due piloti della DS Penske, Jean Eric-Vergne e Stoffel Vandoorne, che abbiamo incontrato proprio in occasione del weekend italiano della categoria 100% elettrica.
“È difficile gestire l’energia su una pista come Misano – osserva il due volte campione del mondo di Formula E Vergne -. È preferibile non essere in testa alla corsa perché il leader di fatto fa da apripista come nel ciclismo. Il problema è che noi non abbiamo sette piloti che lavorano per agevolare un altro. Bisogna lottare per la propria posizione nel traffico. Non è ideale essere primi, ma nemmeno essere troppo indietro. È un tipo di corsa molto complesso, c’è tantissima strategia e non è semplice”.
Una sfida complessa, che affonda le sue radici nella natura delle attuali monoposto di Formula E. “È lo stile di guida delle Gen3 – chiarisce Stoffel Vandoorne -. Queste macchine hanno molto drag, per cui se sei al comando della gara e qualcuno ti segue, se sta correndo come te consuma molta meno energia e riesce nel corso della gara a costruirsi un vantaggio rispetto a te. Tutti sanno come funziona il gioco, ma è comunque difficile ottimizzarlo. È per questo che si creano gare pazze, con auto affiancate perché non vogliono stare al comando all’inizio della corsa. È una questione aerodinamica che riguarda questa generazione di auto e che rende le nostre gare molto diverse da quelle a cui siamo abituati”.