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Innocenti Mini De Tomaso, una storia di successo

Il motore era lo storico 1.275 cc delle Cooper, ripreso dalla 120 e potenziato così da sfruttare al meglio le sue potenzialità - di MASSIMO TIBERI

Innocenti Mini De Tomaso, una storia di successo

La storia automobilistica della Innocenti nasce nel 1960 dall’incontro con la British Motor Corporation, che porta alla produzione in Italia di modelli derivati da quelli d’Oltremanica come la A40, la IM3 o la Mini. Dal 1971 il settore dell’azienda di Lambrate destinato alle vetture diventa di proprietà britannica, ma già nel 1976, a fronte di pesanti difficoltà, la mano passa ad Alejandro De Tomaso che utilizza i fondi anticrisi della finanziaria pubblica GEPI.

Riferimento Mini

L’imprenditore, ex pilota argentino, tiene in vita il marchio facendo perno sulle Mini 90 e 120 del 1974, che utilizzano la base tecnica a trazione anteriore della popolarissima utilitaria inglese ma dall’aspetto completamente diverso. Un riuscito restyling ad opera di Marcello Gandini, allora alla Bertone, per un’auto che mantiene dimensioni ridotte (3,12 metri crescendo in lunghezza meno di una decina di centimetri) proponendo però forme più moderne, dalle linee squadrate, fari rettangolari e in più un funzionale portello posteriore.

Sportività in primo piano

De Tomaso allarga la gamma mettendo la sua firma su una versione sportiva, che di fatto sostituisce quella di John Cooper abbinata in passato anche alle Mini Innocenti più spinte. La vettura è subito riconoscibile all’esterno per forti caratterizzazioni che danno tono. In evidenza, la nuova griglia della calandra, i grandi fascioni paraurti e i codolini passaruote in materiale plastico scuro, tinta ripresa dalla verniciatura opaca della parte bassa delle fiancate, mentre nel frontale sono aggiunti fari fendinebbia e, in coda, i due tubi di scarico accentuano la grinta. A richiesta, ma praticamente obbligati, i cerchi in lega.

Motore e prestazioni

Sul cofano anteriore una presa d’aria per far respirare meglio il motore, ripreso dalla 120 e potenziato: lo storico 1.275 cc delle Cooper, non certo avanzatissimo (albero a camme laterale, aste e bilancieri) però sperimentato con successo in mille competizioni. Qui il quattro cilindri britannico, monocarburatore, offre 70 CV per prestazioni notevoli: 160 km/h di velocità massima, poco più di 12 secondi per toccare i 100 e consumi modesti. A ciò si aggiunge la straordinaria maneggevolezza della De Tomaso, il “go-kart feeling” prerogativa oggi ancora sbandierata dalle Mini targate BMW, e il cambio, a quattro marce sincronizzate, ha innesti duretti ma molto rapidi e precisi. Penalizzato il comfort dalle rigide sospensioni indipendenti, con elementi in gomma e ammortizzatori telescopici, efficiente l’impianto frenante con dischi anteriori privo di servocomando. Optional un kit per portare la potenza a 90 CV, ben sopportata dal telaio e in sintonia con il carattere dell’auto.

Interni migliorati

Molto migliorato rispetto alla 120 l’allestimento dell’abitacolo. Lo spazio è sempre comodo soltanto per due, dietro si sta stretti, comunque la qualità di materiali (ottimi tessuti e moquette), finiture e dotazioni non lascia a desiderare e i vetri posteriori sono apribili a compasso. Ricca la strumentazione, che comprende manometro olio e voltmetro, e sempre particolare l’assetto di guida con il volante, a due razze imbottito, in posizione quasi orizzontale. Il sedile posteriore reclinabile supplisce alla carenza di capacità del bagagliaio.

L’arrivo di Daihatsu

Venduta ad un prezzo di 3 milioni 650mila lire, la De Tomaso è la rivale diretta dell’Autobianchi A112 Abarth, alla quale contende il mercato delle piccole corsaiole, e ne verranno prodotte circa 30mila fino al 1982, quando cessa definitivamente il rapporto dell’azienda con i britannici. Le berlinette italiane devono allora trovare un altro partner tecnico e sarà la giapponese Daihatsu nuovo fornitore della Innocenti.

Nuovi aggiornamenti

A disposizione così un motore più raffinato: monoalbero a camme in testa, tre cilindri di 993 cc e cambio a cinque marce. Diverse anche le sospensioni, McPherson anteriori, e c’è il servofreno. Nel tempo nomi e sigle cambieranno (3 Cilindri, Minitre, 990, Small) e la sportiva diventa Turbo De Tomaso, con l’adozione della sovralimentazione per mantenere lo stesso livello di potenza della precedente. Poche le modifiche estetiche e di allestimento, a pagamento alzacristalli elettrici e fari alogeni, il temperamento è più nervoso e la velocità massima sale a 165 km/h. Fino al 1990 saranno solo 6mila gli esemplari della Turbo ad uscire dalla fabbrica di Lambrate.

FP | Massimo Tiberi RIPRODUZIONE RISERVATA

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