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E1 Jeddah GP, dimenticatevi il rombo dei motori e guardate avanti

Dimenticatevi il rombo dei motori. Di quella motonautica rumorosa, inshore e offshore, del passato, l’E1 Series non ha anzitutto il suono. I motori sono elettrici, dunque silenziosi. Vedersi passare davanti un RaceBird, una delle imbarcazioni che ieri hanno aperto l’E1 Jeddah Gp, la prima tappa dell’UIM E1 World Championship, tenendo di fatto a battesimo la nuova motonautica, elettrica e volante (foiling), è come sentire sfrecciare sull’acqua un Tesla. Fa sicuramente più rumore il drone che gli vola sopra per le riprese. E dimenticatevi anche le velocità del passato: allora, quando correvano Ferretti e il povero Casiraghi, oppure Molinari e Cappellini, ballavano tra i 130 e i 150 nodi. Barche supersoniche, che rendevano quella motonautica una delle discipline sportive più pericolose. Da segno della croce ad ogni start che, volendo essere onesti, era anche un suo punto di appeal. I RaceBird arrivano invece a 51 nodi. L’effetto Wow! Non è certo una velocità da “mammolette”, 51 nodi, intendiamoci. I piloti, tanto per dire, dentro il cockpit hanno un coltello per tagliare le cinture di sicurezza, l’ossigeno (dalla bocchetta flou, perché se si ribaltano là sotto è buio) e sono protetti da tute ignifughe e casco, dunque qualche rischio lo corrono. Ma in relazione alle “bombe” del passato, il paragone schiarisce. La velocità, chiaramente, è un elemento del pathos. Più ce n’è e più ti travolge. I RaceBird, per gli occhi di chi ha vissuto le corse sull’acqua rumorose (e pericolose, e inquinanti), vanno (apparentemente) “piano”. C’è anche, per contro, l’aspetto positivo che viaggiando a 51 nodi ed essendo elettriche, queste barche assicurano meno rischi, rispetto a quelle del passato, che si abbattono per i piloti, ma anche per il pubblico, che può così godersi lo spettacolo proprio a un passo dal lato del circuito più vicino a terra (a Jeddah, l’Ocean Club, l’osservatorio scelto per ospitalità vip, è una platea notevole). E questa, è una gran cosa, che in passato non c’era. Quei “mostri”, per le ragioni di cui sopra, bisognava tenerli lontani dal pubblico, per scongiurare effetti nefasti di incidenti. L’E1 Series, comunque, sull’elemento velocità, dovrà tornare. Le barche attuali sono leggere (circa 1200 chili), efficienti, volanti (foil fissi a lato e il piede a “T” rovesciata del motore i punti di appoggio), dunque potranno anche correre più veloci. Sicuramente l’evoluzione dei motori/elica lo consentirà, ma dovrà essere risolto il limite dei foil attuali, sui quali pesa dopo appunto i 51 nodi la maledizione della cavitazione e ventilazione. In pratica, la barca non si tiene più su, cade sull’acqua, rallenta. Prima ancora però dell’aspetto tecnologico, sarà decisivo quello strategico. Vorranno, i vertici dell’E1 Series, e con loro il pubblico, aumentare l’effetto “Wow!” generato da una maggiore velocità? Sarà necessario “dare più gas” (termine desueto e in questo caso inappropriato, ma che rende sempre l’idea) per divertirsi di più? Non è detto. L’effetto “pilota” Potrebbe anche non essere necessario aumentare la velocità, perché se si entra un po’ di più nelle “pieghe” dell’E1 Series, si può facilmente comprendere che condurre queste barche non è un’impresa semplice. Il segreto sta nell’equilibrio, che il pilota deve raggiungere, dando alla barca un assetto di volo perfetto e duraturo, agendo sulla velocità (l’acceleratore è a pedale, in genere lo schiacciano del tutto), sull’altezza e angolazione del motore e relativo piede, che incide sulla portanza dei foil, insieme con la traiettoria, soprattutto in virata. L’equilibrio intanto esalta il pilota, perché non c’è niente di automatico, computerizzato nell’assetto se non la sua mano e la sua abilità, e poi è frutto di una combinazione di fattori, dal talento alla sensibilità all’occhio, che si affinano anche con le ore di corsa. Più i piloti matureranno esperienza, meglio riusciranno a tenere in volo le barche e più ne guadagnerà lo spettacolo. Ci vuole solo tempo. Non è un caso, dunque, se ieri a Jeddah nelle prove di qualificazione, otto gare di tre giri l’una di percorso (totale 1130 metri di lati lunghi, corti e curve), con i piloti uomini e donne di ciascun team che si sono alternati al volante, al primo posto c’è Team Miami di patron Marc Antonhy, ma soprattutto di Anna Glennon, americana, pilota professionista e campionessa del mondo di moto d’acqua ed Erik Stark, svedese, pilota professionista di powerboat, già sei volte campione del mondo e quattro volte campione europeo. Così come al secondo posto non è un caso che si sia piazzato Team Rafa, di patron Rafael Nadal, che conta sul francese Tom Chiappe, pilota di powerboat, campione del mondo Endurance e sulla spagnola Chris Lazarraga, vicecampione iridata di jet-sky. Stiamo parlando di piloti, insomma, che hanno familiarità con le corse sull’acqua, a differenza di alcuni altri loro colleghi, che l’hanno maturata finora solo su strada. A completare la classifica delle qualifiche, che decide poi anche la posizione della griglia di partenza nelle semifinali in programma oggi (a seguire le finali), vale a dire chi ha più punti parte più interno al percorso, Team Brazil (Catie Munnings; Timmy Hansen), Team Drogba (Oban Duncan; Yousef Al-Abdulrazzaq), Team Brady (Emma Kimilainen; Sam Coleman), Team Blue Rising (Lisa Caussin Battaglia; Kelim Kavanagh), Aoki Racing Team (Saudi Ahmed; Mashael Alobaidan) e Sergio Perez E1 Team, con la nostra Vicky Piria e Dani Clos. L’effetto tecnologia C’è un ulteriore punto. Ed è a favore dell’E1 Series. E’ da tener presente che le sue barche sono il frutto di un’innovazione. Sui RaceBird c’è una ricerca avanzata sull’utilizzo dei materiali, sulle linee della carena (incluso la “gondoletta” della chiglia), sul motore e relativo piede, e più ancora sui foil secanti. Davvero un’accelerazione verso il futuro, che di sicuro non ci sarebbe se si volesse replicare un bolide da 130-150 nodi della motonautica del passato. “Rifarei più o meno la stessa barca di 25 anni fa”, dice Brunello Acampora, il designer che ha sviluppato con la sua Victory Marine l’idea stilistica dei RaceBird. E allora, qui, si spalanca un mondo. Dove entrano anche nuove frontiere come quella di ricoprire i foil con una sorta di squame, sempre per vincere la cavitazione. Ma anche, come aumentare la potenza dell’elettrico e nel contempo garantire il minus dell’inquinamento acustico marino… Un nuovo mondo che, alla fine, allontana ancor più nel passato quel rombo dei motori, il fumo e il brivido che comunque sia avevano segnato un’era. Guardiamo avanti.

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