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BYD, il colosso cinese prepara la prima fabbrica di auto in Europa

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BYD, il colosso cinese prepara la prima fabbrica di auto in Europa

A novembre l’ipotesi era di guardare a più di uno stabilimento in prospettiva, anche in Brasile. Ma per cominciare BYD, il colosso cinese dell’auto elettrica in fase di crescita esponenziale, sta esplorando la creazione di una propria fabbrica in Europa. Progetto diverso da quello trapelato qualche settimana fa di rilevare un sito da Ford in Germania. «Non ci stiamo concentrando sulle strutture di altre aziende», ha dichiarato il vicepresidente esecutivo, Stella Li, dal nuovo quartier generale nordamericano dell’azienda a Pasadena, in California. Pare che non ci siano «ancora paesi target». In compenso è certo che BYD vuole realizzare solide reti di vendita e rivenditori in Europa, insieme a centri di assistenza, al fine di conquistare la fiducia dei consumatori perché l’immagine del brand in Occidente, Norvegia a parte, è ancora tutta da costruire.

Ford, comunque, è in trattative con circa 15 potenziali investitori per il suo stabilimento di Saarlouis, nella Germania occidentale, non lontano dal confine con la Francia. È tuttora inclusa BYD, perché i colloqui non sono stati interrotti del tutto. Il Wall Street Journal ha riportato per la prima volta le discussioni preliminari il mese scorso.

In Cina BYD detiene un terzo del mercato delle auto elettriche. L’incremento delle vendite a 1,86 milioni di vetture, è stato del 209% per le Nev (che comprendono anche le ibride plug-in) e del 184% per le Bev, le auto a batteria. Con queste ultime il gruppo cinese ha superato le 900mila consegne contro 1,4 milioni di Tesla, ma il tasso di crescita del brand orientale è ben superiore (Tesla +40%). Ora BYD guarda oltre la Cina. Ha già annunciato l’assalto ai mercati di tutta Europa: Germania, Svezia, Norvegia, Paesi Bassi, Francia e Regno Unito. In Italia i modelli Han, Tang a Atto 3 dovrebbero arrivare nel corso del 2023, ma le date sono da definire

Quanto all’Asia, BYD sta costruendo il suo primo impianto di produzione di veicoli elettrici nel sud-est, in Thailandia, e sta vendendo in Australia, Giappone e Singapore. Ha anche una catena di montaggio in India.

Il gruppo di Shenzhen, circa 300mila dipendenti e ben 27 mila brevetti, conta Berkshire Hathaway di Warren Buffett come suo maggiore azionista e dovrà affrontare le strategie difensive in Europa e negli Stati Uniti, dove l’industria cinese, ormai altamente competitiva nel settore delle vetture elettriche, punta a conquistare rapidamente quote di mercato importanti.

Una nuova legge sul clima e l’energia emanata dal presidente Joe Biden lo scorso anno, l’Inflation Reduction Act, cerca di limitare la dipendenza dai minerali cinesi nella catena di approvvigionamento dei veicoli elettrici e incoraggiare più aziende a produrre auto elettriche localmente negli Stati Uniti. Una strategia perdente, secondo Stella Li.

Le case automobilistiche rivali stanno anche riflettendo su come competere sui costi (le elettriche cinesi costano diverse migliaia di euro in meno, a seconda dei modelli) e in Europa chiedono supporto a Bruxelles: il ceo di Stellantis, Carlos Tavares, ha dichiarato a dicembre che «per combattere i cinesi, dovremo avere strutture di costo comparabili». E il presidente dei costruttori europei, de Meo, ha parlato di «scontro ad armi impari» tra marche continentali e avversari americani e cinesi.

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