La Tesla Model 3: manutenzione zero
Cosa necessaria, il listino dei veicoli scenderà, il peso sarà più contenuto, gli ingombri ridotti. Gli accumulatori vanteranno una densità maggiore e saranno in grado di immagazzinare più energia. Anche l’autonomia crescerà e, finalmente, saranno disponibili pure le citycar ad un costo accessibile. In attesa della vera rivoluzione, quindi, si può tentare un bilancio dello scenario che è ai titoli di coda. E, non c’è dubbio, lo stato “avanzamento lavori” è in vantaggio su tutte le previsioni. Gli elementi che confermano questa sensazione sono molteplici: tecnologici, finanziari, commerciali e, soprattutto, l’entusiasmo con cui l’innovazione è stata accolta dagli automobilisti, in modo particolare quelli appassionati di motori e di guida. Chi l’avrebbe mai detto? L’auto zero emission fu accolta come una soluzione per rispettare l’ambiente, azzerare la CO2 e consentirci di respirare nella grandi città.
Valori che avrebbero presentato il conto sul piano dell’emozione con un crollo quasi verticale della passione che aveva accompagnato un primo secolo abbondante di storia della mobilità. Fortunatamente non è stato così. Il fiore all’occhiello del muoversi ecologico sono diventate proprio le prestazioni, mettendo in un angolino, anche da questo punto di vista, le “antiche” signore col motore a scoppio. Più potenza e più coppia. Per di più, immediatamente disponibile. Performance neanche paragonabili, con il baricentro bassissimo e un’agilità garantita dall’accelerazione bruciante che ha dell’incredibile. Inoltre, il silenzio, che nella convulsa esistenza attuale va sicuramente considerato un plus. Anche perché l’inquinamento acustico “necessario” può essere sostituito solo per i passeggeri dal sound artificiale su misura dell’impianto audio che si può attivare a scelta. Un bilancio, dall’angolazione del veicolo, è certamente positivo.
Nell’ultimo mese le “ricaricabili” hanno raggiunto una quota di mercato di grande valore, non solo in Norvegia e Olanda, ma nei paesi importanti che rappresentano la maggiorana delle vendite: 40% del totale in Germania, quasi 30% nel Regno Unito, il 25% in Francia, a conferma che, con un’offerta adeguata, i clienti sono più che pronti a cavalcare la tigre. L’Italia non fa testo e questa percentuale è ancora ad una sola cifra. Ma, su questo quadro ideale, ci sarà un problema? Certo che sì e pure bello grosso. La rete di ricarica, indispensabile per una diffusione capillare della transizione energetica. Le colonnine pubbliche e le wall box nei garage privati prima non c’erano ed è comprensibile che, per istallarle in modo progressivo, serviranno anni. Almeno, pero, bisogna far vedere ai consumatori che il processo è in atto e c’è qualcuno che lo sta guidando, facendo un piano di sviluppo credibile e certo.
Questo in Italia sembra non sia ancora avvenuto e ci sono parecchi scettici che ciò avverrà. È uno dei motivi principali (l’altro è economico dovuto alla crisi in presenza di prezzi più alti) del mancato decollo della nuova mobilità nonostante l’UE abbia stabilito l’obbligo di vendita delle vetture elettriche nel 2035 e, quasi tutti i costruttori, lo abbiano anticipato al 2030. Ma torniamo alla “fase uno”, quella ancora attuale. C’è sul tavolo un argomento decisivo per confrontare il “cambio di passo”. Stanno arrivando i primi report sulla durata, i costi di gestione e l’affidabilità che prima mancavano perché, essendo i veicoli al debutto, non c’era uno storico reale da consultare. Visto che le prime vetture a batteria vendute in numeri significativi iniziano ad avere 3 o 4 anni sono sempre di più gli utilizzatori “normali” che hanno percorso 150 mila o 200 mila chilometri ad emissioni zero.
Ingegnere cinquantenne che per lavoro segue la digitalizzazione di una delle più grandi aziende tricolori. Senza dubbio attratto dall’innovazione e dalla tecnologia e, sicuramente, pure dai cambiamenti. Il suo punto favorevole è avere le colonnine di ricarica, sia a casa che al lavoro. Quello sfavorevole di percorrere un buon numero di km al giorno e spostarsi per lunghi tratti. Nel “day by day” nessun problema: anche nella semplice presa di casa con impianto a 3 kWh durante la notte si rifornisce per quasi 30 kWh sufficienti per fare 150 km. In ufficio ancora meglio perché la colonnina, pur non essendo certo una ultrafast, ha una potenza maggiore. Si vive, invece, nell’ecosistema a corrente continua e nelle colonnine HPC (High Power Charger) quando si lascia l’aria di casa.
Tesla ha la sua rete dedicata anche nella Penisola e i dispositivi informativi di bordo ti accompagnano direttamente al rifornimento che incide per poco tempo sulla tabella di marcia dell’itinerario. La colonnina è certo che sia immediatamente disponibile e l’operazione rapidissima, giusto il tempo di prendersi senza fretta un caffè e fare un pit stop fisiologico. Anche la procedura è semplice semplice. L’ingegnere ha fatto anche la prova con il papà un po’ anziano a cui ha lasciato la Tesla per un viaggio senza dargli alcuna spiegazione. Anche il nuovo utilizzatore è rimasto soddisfatto e non ha segnalato inconvenienti nel raccontare l’inedita esperienza.
L’auto, oltre ad accompagnarti al punto giusto, non ha bisogno di nessun aiuto, basta attaccare la presa e lei dialoga direttamente con la colonnina. Ma la cosa che ha lasciato più sorpreso il nostro collaudatore è stata l’affidabilità con una totale assenza di manutenzione. In 150 mila km (ed oltre tre anni) un vantaggio enorme rispetto alle auto termiche, sia di tempo, sia di denaro. Secondo i suoi calcoli un po’ deformati dalla professione, nel conto economico triennale, sommando tutti i costi di utilizzo (compresi quelli dell’alimentazione) ed il valore residuo, la Tesla è costata meno di qualsiasi vettura termica…