La cinese Chery pronta a farsi la fabbrica in Italia
In parallelo a Chery, e nonostante le recenti smentite da Pechino, sempre il ministero delle Imprese e del Made in Italy continua a discutere con i vertici di Dongfeng, altro gruppo in cerca di sbocchi in Europa, tra l’altro ancora azionista con una quota minima di Stellantis.
Appuntamento ufficiale della missione europea di Chery era la firma, presente in questo caso il vicepresidente esecutivo Zhang Guibing, dell’accordo con la società spagnola Ebro-Ev Motors per la produzione di 50mila veicoli nel 2027 e 150mila nel 2029 presso gli ex impianti Nissan nella zona franca di Barcellona. L’iniziativa darà lavoro a circa 1.250 persone per un investimento pubblico-privato di 400 milioni. A Chery, però, servirebbe un secondo stabilimento nel Vecchio continente; da qui il pressing di Palazzo Chigi con il valore aggiunto dell’eccellenza mondiale di cui gode l’indotto tricolore.
A Potenza, intanto, le delegazioni di Fim, Uilm, Fismic e Uglm hanno incontrato il premier Giorgia Meloni a cui hanno ribadito il grido d’allarme sulla necessità di fare presto per rilanciare il settore automotive in Italia e di porre la massima attenzione sull’indotto, a oggi la parte più esposta e con lo spettro concreto di un disastro sociale, in particolare per il polo di Melfi. Sulla richiesta di un vertice tra il governo e l’ad di Stellantis, Carlos Tavares, Meloni sembrerebbe attendere gli esiti delle interlocuzioni del ministro Urso con i potenziali investitori nel Paese. Tavares, da parte sua, ha più volte giudicato negativamente l’ingresso in Italia di un secondo costruttore, soprattutto se cinese.