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In mostra al Mauto – A Torino l’età d’oro dei rally

in mostra al mauto – a torino l’età d’oro dei rally

In mostra al Mauto – A Torino l’età d’oro dei rally

C’è stata un’epoca d’oro dei rally, una trentina d’anni fa o giù di lì, in cui le corse su strada si contendevano l’attenzione degli appassionati con la Formula 1, spesso prevalendo. Un periodo iniziato a cavallo degli anni 60 con vetture quasi uguali a quelle stradali, trasformatosi nei decenni successivi con l’avvento di modelli pensati specificamente a questo scopo (la Stratos, la 037, l’Audi quattro, le successive gruppo B) e arrivato a fine ciclo verso la metà degli anni 90, quando la diffusione dell’elettronica ha finito per prendere il sopravvento e cambiare profondamente anche questo ambito del motorsport. proprio per celebrare quel periodo magico che vede la luce The golden age of rally, la mostra che il Museo nazionale dell’automobile di Torino ospita dal 27 ottobre al 2 maggio del 2023. Un progetto che nasce dalla stretta collaborazione tra il museo e la Fondazione Macaluso, sorta per volontà della famiglia di Gino Macaluso, compianto ex rallista e imprenditore di spicco del mondo dell’alta orologeria: è da quella collezione, infatti, che proviene gran parte delle auto presenti.

Esperienza immersiva. Una mostra, oggi, è molto di più di una serie di auto semplicemente esposte. E quella del Mauto, naturalmente, lo è, per la qualità degli ambienti e la ricchezza della documentazione utilizzata. Il percorso è strutturato in sale, corredate da una timeline e arricchite di filmati, che seguono l’evoluzione tecnica delle vetture. Così, nella prima parte dedicata alle prime affermazioni di questo sport alla metà degli anni 60, si trovano gioielli come la Mini Cooper S che vinse il Rally dei 1000 Laghi del 1967 con Timo Makinen, la Porsche 911 S con cui Waldegaard arrivò secondo al RAC Rally del ’70 e la Ford Escort RS che partecipò alla maratona Londra-Città del Messico con Roger Clark al volante; auto sostanzialmente stradali, sottoposte a una preparazione minima per resistere a prove di grande durezza, sui fondi più accidentati e con chilometraggi oggi impensabili. Era un periodo, del resto, in cui ancora chi viveva di questa passione poteva utilizzare la macchina di tutti i giorni, sottoposta a poche modifiche, per provare a confrontarsi con i driver professionisti, a volte ottenendo piazzamenti insperati. La mostra segue poi l’evoluzione che porta, intorno alla metà degli anni 70, alla realizzazione di vetture più specifiche, pensate per affermarsi in questo tipo di gare: l’Alpine A110 1.800 che Darniche condusse al successo al Rally del Marocco del ’73, ma anche una speciale Lancia Fulvia 1.6 HF, allestita per partecipare al Safari Rally del ’70 con Simo Lampinen, una Fiat 124 Spider del ’71 che venne usata in gara da un campione come Maurizio Verini (con cui Gino Macaluso vinse, nella veste di codriver, il titolo italiano del ’74, dopo essersi aggiudicato quello europeo due anni prima al fianco di Lele Pinto). Per finire con la più specialista di tutte, la Lancia Stratos: di quest’ultima si può ammirare un esemplare del 1976, portato in gara, tra gli altri, dallo stesso Pinto, dal compianto Attilio Bettega e dal grande Walter Röhrl. A questo punto, una parentesi per un approfondimento tematico: in un ambiente ispirato a quello delle gare invernali viene affrontato il tema della sfida tra la trazione integrale, rappresentata dall’Audi quattro con cui Stig Blomqvist si aggiudicò il Rally di Sanremo del 1982 e Michelle Mouton s’impose nell’Adac Rally Metz dell’83, e quella posteriore, incarnata dalla Lancia 037, ultima vettura con questa soluzione tecnica a vincere un titolo mondiale. L’esemplare esposto è passato tra le mani di grandi piloti come Biasion, Bettega, Cerrato e Liatti.

Verso i mostri. La nostra visita immaginaria prosegue ora nella sala più grande dell’esposizione, dominata da una parte da una proiezione a 180 di spettacolari filmati: l’ambiente è dedicato alla rappresentazione dei tre fondi stradali tipici dei rally, l’asfalto, la terra (o sabbia) e la neve (o il ghiaccio). Le ricostruzioni fanno da sfondo ad altrettante vetture protagoniste di questo tipo di competizioni: nell’ordine, la Fiat 131 Abarth Alitalia del ’78 che corse con Alen e Röhrl, la Delta Integrale Evo Martini con cui Kankkunen ottenne il secondo posto al Safari del ’92 (vettura spettacolare, nel suo allestimento originale) e la Renault 5 Turbo, prima al Montecarlo dell’81 con Jean Ragnotti. Le pedane su cui sono collocate le vetture riproducono i fondi che calcarono nei loro anni d’oro. L’evoluzione portò, poi ai veri mostri, le vetture di Gruppo B: a esse è dedicata la piccola sala successiva, che accoglie due esemplari tra i più rappresentativi di quel periodo grande, ma tragico, una Lancia Delta S4 con i colori Martini che nel 1986 fu seconda con Alen in Nuova Zelanda e vinse con Cerrato il Rally della Valle d’Aosta, e la Peugeot 205 T16 (messa a disposizione dal museo della Casa), seconda al 1000 Laghi dello stesso anno con Kankkunen. La parte finale comprende un ambiente dedicato a Gino Macaluso, cui spetta il merito, con la propria collezione, di aver messo insieme un patrimonio capace di mantenere vivo il ricordo dell’epoca d’oro dei rally: insieme con i suoi ricordi più belli è esposta una vettura davvero particolare, la Fiat X1/9 Prototipo. Vettura del cui progetto Gino fu responsabile e con la quale disputò l’ultima sua gara, dividendone l’abitacolo al Giro automobilistico d’Italia del 1974 con Clay Regazzoni, prima di farne anche la prima macchina della propria collezione. Il percorso termina, oltre che con un approfondimento sulla Fondazione Macaluso e con una hall of fame degli equipaggi protagonisti della storia dei grandi rally, con un’ultima sezione tematica, consacrata alla sfida fra la Lancia e la Toyota del 1990. Fu, quello, un anno particolare, in cui la Lancia vinse il titolo Costruttori, ma Carlos Sainz riuscì a imporsi tra i Piloti, spezzando una sequenza che vedeva primeggiare da tre anni i driver della Casa italiana (Kankkunen e due volte Biasion). Le vetture esposte sono, dunque, la Lancia Delta Integrale HF 16V che vinse quell’anno il Sanremo con Didier Auriol, e la Celica GT Four che Sainz portò al successo al RAC Rally del ’90 e in Nuova Zelanda l’anno successivo. Ciliegina sulla torta, la ricostruzione di un intero parco assistenza, che spiega come i rally fossero, e tuttora sono, uno sport fondamentalmente di squadra: la macchina utilizzata è una più recente Fiat Punto Super 1600 del 2001, della quale la Fondazione ha conservato tutto l’allestimento originale che veniva all’epoca impiegato al service.

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