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Auto Usa: si infiamma lo scontro sindacale nelle fabbriche dei colossi americani, con Stellantis nel mirino

Dai tempi di Kennedy, inizio anni Sessanta, l’avvio delle trattative per il rinnovo del contratto di lavoro delle tute blu dell’auto americana ha seguito un preciso rituale: una stretta di mano tra i leader Uaw, lo United auto Workers, e i numeri uno dei tre grandi di Detroit. Ma stavolta no perché, come ha detto Shawn Fain, eletto a marzo alla guida del sindacato, “Una stretta di mano sta ad indicare che siamo amici e lavoriamo assieme. Ma le cose non stanno così” ha tuonato davanti ai cancelli della fabbrica Stellantis di Sterling Heights, a suo tempo palcoscenico degli abbracci tra Sergio Marchionne e i capi del sindacato, quando superSergio seppe strappare condizioni eccezionali ai lavoratori di un’azienda sull’orlo del baratro. Altri tempi. Stavolta Carlos Tavares non si è presentato alla cerimonia per l’avvio delle trattative, gesto che i sindacati non hanno apprezzato. “Ma io mi fido dei nostri uomini in America – ha risposto il numero uno di Stellantis –. E non tocca al sindacato dirmi dove è meglio che io stia per guidare il gruppo”.

Tavares sfida la Uaw e minaccia di spostare la produzione dei Ram

Intanto l’Uaw ha già respinto le offerte informalmente illustrate dalla casa, giudicate alla stregua di “un’elemosina”. E, via Facebook, ha dettato le richieste che intende imporre al negoziato. “Non sono le mie condizioni – ha detto il leader – ma quelle dell’intera categoria”. Per tutta risposta Carlos Tavares ha parlato di “richieste surreali” e minacciato di trasferire la produzione dei Ram in Messico. Inevitabile a questo punto la dichiarazione di guerra: l’Uaw chiederà, forse già oggi, ai suoi 150 mila iscritti la facoltà di indire scioperi a sostegno della vertenza negli impianti di Ford, Gm e di Stellantis a partire dal prossimo 14 settembre. Qualcosa di più di una semplice vertenza di lavoro, come dimostra l’attenzione della Fed, sensibile di fronte alla prospettiva dell’aumento del costo del lavoro dei dipendenti dell’auto che potrebbe fare da traino alle richieste di altre categorie, a partire da quei lavoratori di Amazon e di Starbucks che hanno chiesto di creare filiali locali sul modello del sindacato delle tute blu, in cerca di rilancio dopo gli anni orribili della crisi di Detroit.

I sindacati chiedono più soldi ma anche nuovi diritti

In particolare, assieme alla vertenza di Ups che si è chiusa con una forte affermazione del sindacato degli autisti (compreso il diritto all’aria condizionata sui truck), il confronto di Detroit rappresenta un punto di svolta per la società americana: dopo anni difficili all’insegna della massima flessibilità, i lavoratori Usa rivendicano non solo più quattrini a fronte dei 21 miliardi di profitti che Ford, Gm e Stellantis hanno incassato nei primi sei mesi, ma anche nuovi diritti. Basta, in particolare, con i doppi contratti per cui i neoassunti guadagnano sensibilmente di meno dei veterani. Ma si chiede anche la tutela dei diritti acquisiti per evitare che si ripeta il caso di Delphi: nel 2016, quando Gm assorbì una parte dei dipendenti della controllata, i lavoratori persero i diritti legati all’anzianità e ai piani pensionistici già accumulati.

Lo scontro sulla transizione all’elettrico

I nodi non mancano, insomma. E non aiuta la prospettiva della transizione all’aumento elettrica. I Tre grandi chiedono mano libera per governare un passaggio delicato, in buona parte imprevedibile. Il sindacato chiede garanzie sul posto di lavoro per i dipendenti attuali. Ma anche di poter entrare negli impianti per le batterie che verranno realizzati in collaborazione con i partner coreani per evitare che si ripeta la situazione di Utrium, Ohio, dove i lavoratori della jc tra Gm e Lg guadagnano 16 dollari all’ora contro i 32 dei lavoratori più tutelati.

Shawn Fain, il leader che, a sorpresa, ha vinto a marzo il congresso battendo i candidati della precedente gestione, è un po’ il simbolo della ritrovata combattività del sindacato, uscito a pezzi dalle indagini della magistratura che hanno appurato l’esistenza di regali e di promozioni per i dirigenti. Ora, di fronte al profitto ritrovato ed agli stipendi dei Ceo (29 milioni di dollari per Mary Barra, 24 per Jim Farley di Ford e “solo” 21 per Tavares), il clima è cambiato, complice l’inflazione che sta giocando brutti scherzi agli stipendi più deboli. “Non voglio più fare 70 ore di lavoro alla settimana per sbarcare il lunario” recita sempre su Facebook un dipendente di Ford.

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