Per il suo film su Enzo Ferrari, il venerabile Michael Mann fa una scelta sorprendente, e anche coraggiosa. Ci nega quasi del tutto le spettacolari corse in auto che ci saremmo aspettati da un maestro dell’action come lui, anzi in pratica succhia l’adrenalina via dal motore della storia e punta tutto su un melodramma delle relazioni e degli affetti, terreno sul quale in passato ha dimostrato un equilibrio meno saldo. Ma la vita, si potrebbe dire, neanche a Hollywood è un film, e non sempre le scelte coraggiose si rivelano anche azzeccate.
Sorretto a fatica da un gigantesco Adam Driver, Ferrari ci ripropone il modello non certo inedito dell’antieroe incapace di conciliare l’ambizione e l’eccellenza professionale con un minimo di equilibrio nella vita personale, il Prometeo che di giorno sfida gli dèi ma varcata la porta di casa è incatenato alla rupe delle sue contraddizioni. Il modello mitologico per verità è un altro, e viene esplicitato circa sette volte come tutto in questa sceneggiatura, che all’intuito dello spettatore si preoccupa di non lasciare davvero nulla: è quello di Saturno che divora i suoi figli.
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Proprio per questo, dovendo cimentarsi con l’impresa scoraggiante di recitare un copione praticamente senza sottotesti, a far la parte dei leoni sono gli attori. Adam Driver non solo mette in scena un Enzo Ferrari fichissimo, ma ne cattura una specie di dolce durezza, di quieta ossessività, che filtra con l’understatement diverse rozzezze nella scrittura dei dialoghi. Se lo spettatore mantiene un certo livello di coinvolgimento emotivo nel film, se il pubblico della proiezione stampa ha pur timidamente applaudito invece di sbadigliare, a mio parere il merito è quasi tutto del magnetismo dell’Enzo Ferrari di Driver.
Penélope Cruz ormai ha una personale galleria di mogli bistrattate eppur non sottomesse, ma qui trova una chiave divertita e vagamente luciferina che le permette di venirne fuori con gran classe.
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Infine, non so se si può scrivere qualcosa sommessamente ma io ci provo, perché parliamo pur sempre di Michael Mann: le scene action in auto, fatta eccezione per il climax tragico del film, quando finalmente arrivano sono un po’ deludenti e spesso confuse.
Ferrari troverà un suo pubblico, non c’è dubbio, perché la storia e il personaggio che racconta hanno una forza d’attrazione universale e perché in un certo senso non del tutto lusinghiero acchiappa bene l’italianità come la vogliono all’estero, e come in fondo piace pure a noi quando non abbiamo voglia di fare lo sforzo di raccontarci fino in fondo.
Ma se Ferrari era l’occasione di fondare una mitologia cinematografica laddove già esiste una mitologia industriale dell’eccellenza italiana, è un’occasione fallita.