Quanti oggetti profumano di anni Novanta più delle schede telefoniche, del Game Boy, della scarpe della Reebok, delle manine appiccicose, degli Uniposca e delle Micro Machine. Beh, qualcos’altro ci sarà sicuramente. Se dovessimo scegliere un personaggio sportivo del periodo, invece, prenderemmo senza indugio Michael Schumacher, il grande campione tedesco di F1, iridato con la Benetton e alfiere tutto coraggio e grinta con la Ferrari. Per quanto riguarda le macchine da elencare, ci sarebbe da perderci la testa ma, se scegliessimo una supercar, toccherebbe alla Bugatti EB110. Lei è la più estrema di tutte, la più ambiziosa e veloce. Non a caso fu la prediletta di Schumi stesso, che la acquistò in uno sgargiante colore giallo. Peccato che oltre al Kaiser, solamente altri 138 automobilisti decisero di mettersela in garage, decretandone un flop memorabile e ingiusto.
Il sogno di Artioli
Nel 1987 Romano Artioli ha una folle idea, intrisa di coraggio e di un pizzico di tracotanza: rilevare Bugatti e, nel giro di pochi anni, realizzare la più incredibile supercar del globo. Un’impresa titanica, ma l’italiano non si perde dietro alle avvisaglie pericolose e a chi gli sconsiglia di non gettarsi in una tale avventura. Dunque, fa suo il prestigioso brand francese e studia un progetto per mettersi in competizione con i più grandi. In quel periodo circolano su strada vetture fantastiche e di livello altissimo come le varie Jaguar XJ220, Porsche 959 e Ferrari F40, che hanno innalzato l’asticella delle peformance e della qualità come mai prima di allora. Una casa non si costruisce dal tetto, ma si parte dalla fondamenta. Dunque, prima di giungere al concepimento della EB110, serve tirare su le mura di una fabbrica moderna e all’avanguardia, per non dire a misura d’uomo. Il luogo ideale è Campogalliano, in provincia di Modena, nel cuore della Motor Valley. I vicini di casa sono pezzi da novanta come Maserati, Ferrari e Lamborghini.
Bugatti EB110, guarda la gallery 11
Artioli affida le chiavi del progetto a un pilasto di Lamborghini, che risponde al nome di Paolo Stanzani. Il nuovo boss di Bugatti bussa di nuovo alla porta del Toro e chiama in squadra anche un collaudatore di chiara fama, Loris Bicocchi. Tra Stanzani e Artioli non scorre buon sangue e le strade dei due si dividono quando si è ormai al traguardo. Tutti gli uomini coinvolti in questa peripezia, confessano di averci messo anima e corpo, lavorando giorno e notte in modo instancabile. Nel 1990 la fiammante Bugatti sarebbe già pronta per l’esodio, ma i vertici aziendali posticipano il tutto di un anno, perché in quel frangente ricadrebbe il centodecimo anniversario delle fondazione dell’azienda creata da Ettore Bugatti, l’ispiratore (con le iniziali EB) della nuova fuoriserie.
Una vettura estrema
Bugatti EB110, guarda la gallery 6
La Bugatti EB110 perde la sfida del mercato
Il delizioso progetto tecnico, la sfrenata ambiziosa di Artioli, si scontra con la dura realtà. Oltre a saper realizzare una macchina, bisogna anche saperla vendere. La Bugatti EB110 GT parte da 550 milioni di lire, mentre per la SS serve staccare un assegno di 670 milioni del vecchio conio. Le sole 139 unità vendute a caro prezzo non bastano per salvare le sorti dell’azienda, che nel 1995 chiude i battenti, decretando il fallimento. Un colpo basso, durissimo. Bugatti avrà modo di tornare sulla rampa di lancio con un po’ di pazienza, quando il Gruppo Volkswagen l’ha ripresa dalle aule di tribunale offrendole un presente luminoso, come sta vivendo tutt’ora. Per quanto riguarda la EB110, le mancò solo la fortuna.