L’executive manager Michelangelo Liguori parla a InsideEVs di una possibile fabbrica d’accumulatori, al servizio anche di “altri clienti”
Anche le microcar sognano in grande. E a spingerne le ambizioni sono le batterie “fai-da-te” a marchio “made in Italy”. Come quelle messe in cantiere da Microlino Italia (azienda nata dalla svizzera Micro Mobility Systems e dall’italiana Cecomp) per montarle sull’omonimo quadriciclo elettrico che omaggia l’iconica Isetta del 1953.
La giusta batteria
Dopo le gigafactory di Acc, Italvolt e Seri Industrial, l’Italia potrebbe quindi accogliere anche l’impianto di Microlino. I dettagli sono da definire, perché “il piano è stato avviato a ottobre, durerà circa due anni ed è un programma di sviluppo che ha la finalità di trovare il miglior packaging per aumentare l’efficienza e ridurre i costi”. Dello stabilimento si parlerà solo dopo, in base all’evoluzione del progetto.
Per ora, sappiamo che la chimica della batteria sarà nichel-manganese-cobalto (NMC), poiché “Microlino è una vettura estremamente compatta, che richiede molta densità energetica e capacità fino a 15 kWh, garantite oggi solo da quella tecnologia”.
Al servizio di tutti
Ecco perché, intanto, l’azienda ha mostrato il prototipo dell’accumulatore al ministro Adolfo Urso, presente all’inaugurazione della prima Casa del Made in Italy (punto d’incontro fra politica e imprese), dove Microlino ha esposto i primi frutti del suo lavoro.
Lo sforzo dell’Italia – sono le sue parole, riferite da Liguori – non deve essere solo quello di produrre localmente, assemblando componenti provenienti dall’Asia, ma trovare il modo per verticalizzare tutti i processi, incluso quello delle materie prime, con la possibile attivazione di miniere.
Microlino 2.0 e Microletta
Appello per gli incentivi
Poi arriverà il compito più difficile: convincere gli italiani a passare alla micromobilità. “L’Italia è un mercato in crescita, ma non si è ancora sedimentata l’idea del quadriciclo come alternativa all’auto in città. Vanno spiegati bene i vantaggi ambientali, di decongestionamento del traffico e occupazione del suolo. In più, avremmo bisogno di incentivi stabili per tre-cinque anni. Gli stop&go non aiutano”.
“Altro problema – conclude Liguori – è la sproporzione dei contributi, che per le microcar arriva a un massimo di 4.000 euro, mentre per le auto sarà di oltre 13.000 euro, rendendo meno competitivi i quadricicli e più complicato superare le resistenze del pubblico. Se non si dà un valido sostegno al cliente, operare diventa oggettivamente complesso”.
Ma la sfida è accettata.