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Adam Driver è Enzo Ferrari sul grande schermo (e Favino lo critica): “Io, ossessionato dal personaggio”

adam driver è enzo ferrari sul grande schermo (e favino lo critica): “io, ossessionato dal personaggio”

VENICE, ITALY – AUGUST 31: Adam Driver attends a photocall for the movie “Ferrari” at the 80th Venice International Film Festival on August 31, 2023 in Venice, Italy. (Photo by Elisabetta A. Villa/Getty Images)

Guardando Adam Driver, stagliato nel suo metro e 89 di altezza, è facile immaginarselo con la divisa del Marine. All’indomani dell’11 settembre, infatti, appena 18enne, decise di arruolarsi. Dopo due anni fu congedato per motivi medici e decise di concentrarsi sulle sue vere passioni: il teatro, l’arte e il cinema – video

CARRIERA CAMALEONTICA – La carriera di questo ragazzone del Midwest, nato in California,ma cresciuto in Indiana, è costellata da progetti molto diversi: una serie tv di successo (Girls di Lena Duhnam); il film Paterson, un piccolo gioiello, in cui interpreta un autista di bus poeta; è stato anche il cattivo dell’ultima trilogia di Star Wars, Kylo Ren.

C’è poi Storia di un matrimonio, in cui litiga furiosamente con Scarlett Johansson, e il ruolo di Maurizio Gucci nel dramma di Ridley Scott House of Gucci. Si direbbe che il nostro Paese gli piaccia molto, anche perché Driver torna nuovamente a vestire i panni di un noto italiano: Enzo Ferrari, nel biopic di Michael Mann, al cinema dal 14 dicembre per Leone Film Group, Rai Cinema e 01 Distribution.

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ANCORA IN ITALIA – Ferrari è ambientato nel 1957, nel momento in cui il suo patron vive una profonda crisi personale e professionale: l’azienda è in difficoltà, così come il suo matrimonio con Laura (Penelope Cruz), dopo la morte del figlio Dino.

Quando avete presentato il film a Venezia, lo scorso settembre, Pierfrancesco Favino ha alimentato una polemica sugli stranieri che interpretano personaggi italiani. Sente una responsabilità in questo senso? «Moltissimo, proprio perché non è la mia cultura. Abbiamo girato a Modena e lì è difficile non essere travolti dallo spirito di Enzo Ferrari: non puoi muoverti per la città senza ritrovare un po’ di lui e di ciò che ha creato. Ma, alla fine, il lavoro di un attore è sul personaggio: mi sono concentrato sulle ossessioni e sul rapporto con le donne della sua vita».

Piero Ferrari, vicepresidente dell’azienda, l’ha aiutata nel conoscere meglio il padre? «Sì, è stato molto generoso. Mi ha portato a vedere l’ufficio di Enzo dove sono custoditi ancora oggi gli oggetti che maneggiava e le lettere che scriveva. Firmate con l’inchiostro viola per evitare che si potessero falsificare».

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Ha ritrovato qualcosa di sé in Enzo Ferrari? «Mi rivedo nella sua attenzione per i dettagli, era una persona estremamente esigente».

E in cosa siete diversi? «Esteriormente era molto calmo, proiettava un’immagine di fiducia, anche nei momenti più difficili. Io invece sono forse… troppo attore. Cerco di nascondere la mia pazzia, ma, diciamocelo, siamo tutti un po’ strani».

Ha raccontato di non aver guidato alcuna macchina durante le riprese, per questioni assicurative. «Nessuno voleva che le toccassi. Non si fidano mai di me, per queste cose. Però ho lavorato molto sul comprendere la mentalità di un pilota di quegli anni: non c’erano tutti i dispositivi di sicurezza che abbiamo oggi, il pericolo era dietro l’angolo, a ogni gara tutto poteva andare storto in un secondo».

È un appassionato di corse? «No, non le ho mai guardate prima di lavorare a questo film. Da me c’è la 500 Miglia di Indianapolis, ma non faceva parte delle mie passioni da ragazzo».

Si ricorda la sua prima macchina? «Era una Mustang marrone del 1980. L’ho comprata insieme al mio patrigno per mille dollari, aveva 5 mila miglia e il cambio manuale (che non è molto comune nelle automobili americane, ndr)».

Quanti anni aveva? «Sedici, l’ho presa appena ho potuto guidare. Avere un’auto nel Midwest è parte della tua identità, mi faceva sentire libero. Ma l’ho distrutta, non l’ho rispettata e non ho conservato nulla di quell’auto. La verità? La rivorrei indietro, era proprio una bella macchina».

Ha solo 40 anni, ma una carriera ricca di ruoli. «Non ci penso quasi mai, il rischio è di esserne sopraffatti. Quando sono a un festival, come quello di Venezia dove abbiamo presentato Ferrari, ci sono dei momenti in cui mi estranio: ti ritrovi su una barca, alle 2 del mattino, dopo l’anteprima del film di cui sei il protagonista. È una vita così diversa da quella che facevo da ragazzo. È surreale».

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È cambiato il suo modo di approcciarsi al lavoro? «Più invecchio e più cerco di non sprecare energie. E poi cambia l’atmosfera intorno a te: le persone ti guardano con autorità, cercano in te una guida, una leadership. Accade senza che io me ne accorga. Per cui mi sento responsabile nei confronti degli altri. Ma quando sono a casa non penso alla mia carriera».

A che cosa pensa, invece? «Sono troppo occupato a prendermi cura di mia moglie e dei nostri due figli».

La paternità l’ha cambiata? «Ora le mie priorità sono altre: voglio essere a casa per i miei figli. Se devo allontanarmi devo poter spiegare loro perché è così importante per me. E poi ormai sono troppo stanco, alle 10 vorrei solo andare a dormire».

Giulia Perona

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