turisti roma colosseo
In nessun altro comparto produttivo si assiste ad un simile dibattito. Avete mai sentito lamentare di un eccessivo acquisto di auto, troppa produzione di acciaio, un eccesso di vendita di capi del Made in Italy?
Scrivo da una regione, la Liguria, che sta vivendo uno straordinario momento di crescita: dalle crociere all’outdor, dal turismo balneare a quello gastronomico, alla riscoperta di Genova come città d’arte e di cultura.
Con tutti i problemi che questo comporta. L’affollamento delle Cinque Terre nei fine settimana, la folla sulle banchine di Portofino, le code agli imbarchi dei grandi terminal portuali, o, semplicemente, le code in autostrada e l’affollamento dei treni, nonostante l’aumento dei convogli.
Ma i benefici che tornano al sistema sono certamente maggiori: aumento della ricchezza nelle tasche dei cittadini, diminuzione sensibile della disoccupazione, aumento della occupazione giovanile, crescita dei consumi e degli investimenti. Cioè numeri positivi su tutti i principali indicatori di salute economica di un territorio.
Un modello di crescita che sta superando quello tradizionale della manifattura, che sconta invece gravi problemi di aumento dei prezzi, scarsità di materie prime, ritardi nelle consegne, aumento dei costi.
Ma, nonostante questo, il dibattito sull’eccesso di turismo, se da un lato risente di un atteggiamento snobistico ed elitario della classe dirigente del nostro paese, che appare quasi infastidita dal dover dividere i luoghi più belli di Italia con una massa di persone non considerata all’altezza, dall’altra risente di un condizionamento ancora più grave e pericoloso: la percezione diffusa del turismo come “figlio di un Dio minore” rispetto ad altri settori dell’economia.
Il famoso grido di dolore di certa sinistra ideologica e di certo vetero-sindacalismo: “Non faremo dell’Italia un paese di maggiordomi e camerieri” la dice lunga sul pregiudizio e l’errata percezione.
Invece il turista in coda infastidisce e le misure proposte per limitare questo fastidio sono tutte volte ad eliminare la domanda, non ad aumentare l’offerta o migliorare l’organizzazione. Il numero chiuso diventa così il nuovo mantra del radical chic, infastidito dai negozi di pizza al taglio e l’incapacità del popolo in bermuda ed infradito di apprezzare le bellezze del belpaese l’ipocrita grido di dolore delle associazioni culturali e ambientaliste, culle delle nostre élite intellettuali.
Serve un cambio di mentalità ancor prima che di struttura economica se vogliamo che l’Italia continui la sua crescita economica e possa primeggiare in un settore dove avrebbe le carte in regola per il podio, ma si accontenta di un posto da mezza classifica.
Se il turismo continuerà a crescere la risposta non può essere limitare la domanda, ma aumentare l’offerta e migliorare l’organizzazione e la pianificazione. Più scuole per formare professionalità che oggi scarseggiano, migliori trasporti e più infrastrutture per evitare code e affollamenti, digitalizzazione per consentire prenotazioni razionali, diversificazione dell’offerta per allargare e destagionalizzare, spalmando i flussi su un arco di tempo più esteso. E ancora, più investimenti per aumentare, a tutti i livelli, la nostra capacità alberghiera, la capienza dei nostri porti. E poi, un sistema efficiente di gestione delle ricadute negative, dai rifiuti all’inquinamento delle acque, grazie a depuratori, termovalorizzatori, biodigestori, strumenti in grado di annullare o mitigare l’impatto delle masse che speriamo sempre più numerose.
Questo è l’unico modo per costruire una moderna industria turistica. I numeri chiusi, i nasi storti di fronte agli zaini, come alle borse di Vuitton, somigliano molto a quella decrescita felice con cui qualcuno voleva Governare il nostro paese. Per fortuna, senza riuscirci.