Classiche

Suzuki

Suzuki Cappuccino, piccola roadster alternativa

Venne presentata in anteprima al Salone di Tokio nel 1989 e lanciata sul mercato dalla casa giapponese nel 1991 - di MASSIMO TIBERI

Suzuki Cappuccino, piccola roadster alternativa

Probabilmente un costruttore italiano non avrebbe mai battezzato un’auto, per giunta sportiva, Cappuccino. Ma, soprattutto ai giapponesi, per assonanza i nomi nella nostra lingua sono sempre piaciuti, basti pensare a Corolla, Piazza, Cuore, Materia, Concerto, Carina, Compagno, Luce e via dicendo. Così la Suzuki sceglie la ormai ovunque apprezzata bevanda per identificare una piccola roadster, presentata in anteprima al Salone di Tokio nel 1989 e in campo dal 1991, appartenente alla vasta famiglia nipponica delle “Keicar”, vetturette prodotte nel rispetto di rigide norme regolamentari.

Paletti precisi

Per ottenere vantaggi fiscali e altre agevolazioni, infatti, non si possono superare i 3,3 metri di lunghezza e 1,4 di larghezza, mentre la cilindrata va contenuta entro i 660 cc per una potenza massima di 64 CV. Tutto ciò non impedisce comunque ai creativi designer e progettisti del Sol Levante di proporre riusciti tratti stilistici e raffinatezze tecniche di livello.

Design e interni

Nell’aspetto, decisamente gradevole, la compattissima Cappuccino ricalca in formato ridotto le linee delle spider europee classiche: lungo cofano (in alluminio) e coda tondeggiante raccolta, fari carenati, doppie prese d’aria sui parafanghi anteriori, cerchi in lega. All’interno, lo spazio non è certo abbondante per i due passeggeri e proprio non basta per chi è di alta statura, ma l’assetto di guida disteso ricorda quello di una Triumph Spitfire o di una Austin Healey Sprite, i sedili con poggiatesta sono avvolgenti, il volante è un bel tre razze e la strumentazione ad elementi circolari è quella giusta. Un po’ macchinoso togliere la copertura dell’abitacolo, composta da elementi rigidi superiori smontabili che trovano posto nel bagagliaio e dal lunotto ripiegabile.

Meccanica evoluta

La volontà di non manifestare complessi d’inferiorità rispetto ai modelli più grandi si conferma con ancor maggiore evidenza nella meccanica, sviluppo di quella delle utilitarie Alto e Cervo (ancora nomi italiani). Il motore, che naturalmente deve fare i conti con i dettami di legge, è però un ben dotato tre cilindri bialbero a camme in testa dodici valvole di 657 cc, sovralimentato con turbocompressore e con cambio manuale a 5 marce (optional l’automatico), che permette alla mini roadster di raggiungere i 150 km/h e, grazie al peso ridotto intorno ai 700 kg, di non deludere quanto a temperamento. Trazione posteriore, sospensioni indipendenti a quadrilateri, impianto frenante a quattro dischi (gli anteriori ventilati) e ABS, sterzo a cremagliera molto diretto, sottolineano una dinamica e un comportamento che non sfigurano nel confronto con vetture di categoria superiore.

Non per l’Italia

Riservata al mercato interno, dove ottiene un discreto successo prodotta fino al 1998, la Cappuccino tenterà anche lo sbarco in Gran Bretagna, considerando la sua impostazione con guida a destra, ma le vendite non andranno oltre il migliaio di unità. In Italia delle varie spider “Keicar” giapponesi arriverà soltanto la diretta rivale Daihatsu Copen, con cilindrata maggiorata e guida a sinistra, senza però risultati commerciali degni di nota.

FP | Massimo Tiberi RIPRODUZIONE RISERVATA

TOP STORIES

Top List in the World