Meglio in Fiera o nel Quadrilatero? Perché molti brand scelgono di restare a Milano
Niente stand, niente lunghi viaggi in taxi o in metropolitana. Cosa c’è di meglio del Quadrilatero e dintorni per incontrare architetti, design o semplici curiosi? Showroom raccolti nel fazzoletto della cerchia del Navigli o poco più, molti in bellissimi palazzi storici.
Non è certo una guerra tra centro e padiglioni fieristici perché uno ha bisogno dell’altro, ma sicuramente è una tendenza, soprattutto delle grandi firme. Tra queste, per esempio, Cassina, Poltrona Frau, Giorgetti o Design holding con B&B Italia.
Una scelta che l’azienda aveva maturato prima della pandemia. «Posso dire – continua Caropulis – che quelle dinamiche che avevamo intuito qualche anno fa sono state poi confermate. Non cambierei queste scelte».
Per il brand organizzare un’offerta immersiva ed esperienziale risulta dunque difficile in uno spazio destinato più agli accordi commerciali come una fiera. Peraltro poi c’è anche il tema degli investimenti economici «perchè apportare modifiche allo showroom di proprietà non vale solo per una settimana, ma per tutta la stagione».
La riflessione di Carupolis però va anche oltre queste queste giornate per guardare le tendenze del mercato globale. «Il mondo – continua – sta marciando verso una clusterizzazione delle economie e degli ecosistemi. In pratica vedo la Cina in un percorso ormai ben definito che va verso l’autosufficienza di consumo. Più autonoma e diciamo staccata dal mondo occidentale».
Una riflessione che non trova completamente d’accordo l’amministratore delegato di Giorgetti, Giovanni Del Vecchio. «Non credo che le diverse aree economiche si stiano in qualche modo rendendo indipendenti e autarchiche in termini di produzione e consumi, bensì stiamo assistendo a un rallentamento degli investimenti immobiliari e dunque dell’economia che noi stessi rappresentiamo. Viviamo raffreddamento delle potenzialità del business».
Un altro elemento nuovo che sottolinea Del Vecchio è la crescita a lungo termine della cultura dei design del consumatore cinese. «Un cliente più esigente sulla qualità e sulla personalizzazione che sta creando anche dei professionisti che sanno fare un ottimo lavoro di qualità». «Ecco perchè alcuni marchi cinesi stanno diventando sempre più rilevanti. Niente che possa preoccupare il made in Italy, sia ben chiaro, fino a che manterremo alto il nostro livello di ricerca e di innovazione».
Sul perché anche Giorgetti abbia scelto di non andare in fiera, Del Vecchio ha sottolineato come «stiamo vivendo un periodo molto stimolante, ricco di visitatori. La città è piena è questo è un segnale di grande vitalità che va coltivato. Dobbiamo tenere presente che uno degli elementi di successo del centro di Milano è la connettività e l’alta offerta dell’ospitalità. Fattori importanti per chi viene dall’estero per lasciarsi ispirare o per valutare progetti concreti. Qui abbiamo il massimo della visibilità».
Se per l’ad di Giorgetti dunque cresce la consapevolezza che il Salone del mobile non è solo la fiera, si deve anche dire con chiarezza che «che non ce niente se non c’è la fiera. Senza fiera non c’è neanche il Fuorisalone. Un’esperienza che è stata fatto in modo molto limpido durante la pandemia. In quel momento abbiamo constatato che l’esistenza dell’esposizione di Rho è vitale per tutti noi».
Poi con molto realismo ogni azienda deve fare i conti con i propri investimenti e non si può fare tutto. «Giorgetti ha accelerato con l’espansione dei negozi monomarca nel mondo. L’apertura in via della Spiga e a New York ha fatto il paio con i dieci punti aperti lo scorso anno, quindi – ha concluso Del Vecchio – al momento la nostra priorità è quella dell’espansione internazionale».