Fuorigiri

L’Avvocato in trappola

Il 24 gennaio del 2003 ci lasciava Gianni Agnelli, nel ventennale della scomparsa il ricordo dell'Avvocato e della sua Fiat

L’Avvocato in trappola

A venti anni dalla morte di Gianni Agnelli la sua personalità non accenna a sbiadirsi. E le sue azioni continuano ad essere oggetto di valutazioni contrastanti. Il cui effetto sa più di attualità che storia. In particolare la difficoltà di gestire personaggi di forte personalità ma di opposte vocazioni si è trasformata qualche volta in una trappola che ha finito per imprigionarlo. La contrapposizione tra Vittorio Ghidella e Cesare Romiti è già nell’aria ben prima di quel 18 dicembre 1987 quando l’avvocato Agnelli nella consueta riunione di fine anno a Marentino, centro di formazione Fiat a 20 km da Torino,  decide di designare il fratello Umberto alla sua successione e Vittorio Ghidella a quella di Cesare Romiti. Senza immaginare che quell’annuncio avrebbe dato inizio ad una irrisolvibile contrapposizione al vertice. Uno stallo che Gianni Agnelli decide di risolvere facendo ricorso a due elementi fondanti del suo carattere: intransigenza e insofferenza. Alla Fiat sentenzia, comanda solo uno alla volta. E la scelta cade su Cesare Romiti. In realtà la storia fino ad allora sembrava testimoniare il contrario.

E’piuttosto il dualismo sistematico, basato sul concetto del “divide et impera”, a caratterizzare la strategia gestionale della proprietà. Con il risultato che invasioni di campo sistematiche si propagano dai top management a tutta la scala gerarchica. Nel caso del rapporto tra Ghidella e Romiti la disputa è formalmente originata da due distinte visioni del futuro dell’azienda: autocentrica per il primo, diversificata per il secondo, che si traducono essenzialmente in uno scontro sul piano degli investimenti. La situazione è complicata dal fatto che questo dualismo è di carattere “secondario” e deriva da quello “primario” che divide irrimediabilmente Gianni e Umberto. Lo stato di soggezione del fratello minore impedisce scontri diretti. Il confronto si consuma per interposta persona in una guerra nella quale il sacrificio dei combattenti è ampiamente previsto e del tutto trascurabile. Eppure, se si eccettua il controllo, mal sopportato, sul piano degli investimenti, Romiti si tiene ben lontano dall’auto anche a costo di cedere all’avversario il vantaggio di immagine che gli deriva dal “trattare” un prodotto di così larga presa sul pubblico.

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Per Romiti, che rappresenta le posizioni dell’avvocato Agnelli, la Fiat deve trarre i suoi utili da attività essenzialmente finanziarie ed a queste devono essere dedicate tutte le risorse disponibili. Secondo questa visione è un inutile spreco reinvestire nell’auto. La competitività sul mercato può essere ottenuta più vantaggiosamente contenendo i prezzi di listino e accontentandosi di margini di contribuzione ridotti o addirittura negativi che sarebbero stati comunque compensati dagli utili provenienti dalla finanza. Per Vittorio Ghidella, al contrario, l’auto è al centro dell’impresa, una divinità crudele, vorace, volubile e incostante alla quale occorre sacrificare tutte le risorse disponibili per evitare che in un accesso di collera, spalanchi le porte di un inferno che nessuna finanza e nessun finanziere sarebbe riuscito a richiudere. Molti anni dopo il crollo delle borse e la propagazione della crisi ad una industria dell’auto che alla finanza ha venduto l’anima si sarebbero incaricate di indicare senza ombra di dubbio quale delle due posizioni fosse la più lungimirante.

FP | Mauro Coppini RIPRODUZIONE RISERVATA

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