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Ayrton Senna, 30 anni senza: i trionfi, gli amori, i presagi, lo schianto… Così è entrato nella leggenda

ayrton senna, 30 anni senza: i trionfi, gli amori, i presagi, lo schianto… così è entrato nella leggenda

©Jean Francois Galeron/WRI/MAXPPP ; Ayrton Senna (BR), Williams FW 16 at Estoril (Portugal)for the first winter tests.

Il mio nome è Ayrton, e faccio il pilota / E corro veloce per la mia strada». Due righe bastarono, a quel genio di Lucio Dalla, per definire la vita e forse anche la morte di uno dei più grandi piloti nella storia della Formula 1. Sono passati trent’anni, da quel primo maggio del 1994. Oggi Ayrton, sembra incredibile, ne avrebbe 64, forse sarebbe diventato un commentatore televisivo, forse lo avrebbe raggiunto una certa pinguedine, come Ronaldo il fenomeno, o forse le rughe gli avrebbero circondato quegli occhi profondi come un oceano. A me piaceva tanto, Ayrton. Mi piacevano la sua sfrontata malinconia e il suo modo irrequieto di guidare quelle belve monoposto sui circuiti. Mi piaceva solo un po’ meno di Gilles Villeneuve, per la cui morte non mi vergogno di aver pianto. Erano due acrobati tristi, due eroi indisciplinati e severi, capaci di entrare in conflitto con il mondo, spietati nel loro desiderio di vincere, perché nello sport non si partecipa e basta – foto | video

Carol Alt, dal grande amore per Ayrton Senna al giovane (ex) fidanzato – guarda

LA SICUREZZA – Senna una volta decise di andare a sbattere contro l’auto di Alain Prost, perché lo odiava, rivalità tra campioni, e perché voleva vendicarsi dei torti che il presidente della Federazione automobilistica gli riservava ogni tanto. Nel magnifico documentario Senna, vedetelo se potete, c’è il racconto del ruolo di leader che Senna aveva nelle riunioni tra piloti, per difendere in primo luogo il diritto alla sicurezza. Allora era molto peggio di oggi, anche se allora era molto meglio di prima quando, nel giro di un decennio, a uno a uno morirono tutti i migliori: Jim Clark, Jochen Rindt, Ronnie Peterson e tanti piloti italiani, a cominciare da Lorenzo Bandini.

È di Carol Alt il ricordo più struggente di Ayrton Senna – guarda

BRUTTI PRESAGI – Quei giorni a cavallo di aprile e maggio del 1994 a Imola, per il Gran premio di San Marino, furono segnati da oscuri presagi. Il venerdì, primo giorno di prova, la Jordan di Rubens Barrichello, per la rottura di una sospensione, decollò, impattò con la rete di protezione, si cappottò prima di fermarsi, con il pilota stordito e ferito. Il giorno dopo accadde il peggio. Un giovane pilota austriaco, Roland Ratzenberger, morì in un incidente provocato dalla perdita di un alettone. A 314 chilometri all’ora l’auto si schiantò contro il muro della curva intitolata proprio a Gilles Villeneuve e il ragazzo, aveva 34 anni, perse la vita. I suoi genitori raccontarono poi che da bambino, abitando vicino a una scuola piloti, il suo gioco preferito era mettersi con le spalle alla finestra e, ascoltando il rombo dei motori, riconoscere la marca delle auto che passavano. Senna fu molto scioccato da quell’incidente e di nuovo sfidò le ire della Federazione andando a fare un sopralluogo alla curva per rendere omaggio al pilota scomparso e per vedere se tutto era tornato a posto. Il medico dei piloti, un uomo buono, lo implorerà di non correre, il giorno dopo. Perché il circo non si fermò neanche dopo la morte di uno dei suoi artisti. Ayrton prenderà una bandiera austriaca e la porterà nell’abitacolo della sua Williams Renault con l’idea di sventolarla nel caso, assai probabile, si fosse aggiudicato la corsa. Era in pole position, aveva vinto tre campionati mondiali, 41 gran premi, per 65 volte era andato in pole. Era il più veloce, non c’è dubbio. Ed era il più triste ma, insieme, il più combattivo.

Non voleva far altro che vincere, solo vincere. Ma sempre pensando al Dio che amava, che quel giorno di maggio lo prese o forse lo lasciò, al suo Brasile, terra di epica e fiaba, alla gente che rispettava.

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ANCORA LUCIO DALLA – Ancora Dalla, nella canzone Ayrton composta per lui: “E, come uomo, io ci ho messo degli anni / A capire che la colpa era anche mia / A capire che ero stato un poco anch’io / E ho capito che era tutto finto / Ho capito che un vincitore vale quanto un vinto / Ho capito che la gente amava me”.

Una volta Senna disse: «I ricchi non possono vivere su un’isola circondata da un oceano di povertà. Noi respiriamo tutti la stessa aria. Bisogna dare a tutti una possibilità». Ayrton aveva carisma, una dote che è rara, era forte e bello. Difficile pensare al suo volto, così perfetto, deturpato dalla violenza di una morte assurda.

Tutti ricordiamo quel primo maggio, festa dei lavoratori. Quella maledetta corsa non si sarebbe dovuta disputare, così la volta successiva Ayrton avrebbe sventolato, da vincitore, la bandiera bianca e rossa per onorare il suo collega morto. Risentitela, quella canzone, un inno d’amore per un pilota nato in una terra lontana e morto alla stessa età di Ratzenberger, 34 anni. “Il mio nome è Ayrton, e faccio il pilota / E corro veloce per la mia strada / Anche se non è più la stessa strada / Anche se non è più la stessa cosa / Anche se qui non ci sono i piloti / Anche se qui non ci sono bandiere / Anche se forse non è servito a niente / Tanto il circo cambierà città / Tu mi hai detto: chiudi gli occhi e riposa / E io, adesso, chiudo gli occhi”. Con gli occhi chiusi lo ricordiamo anche noi, trent’anni dopo, mentre passa veloce nelle nostre vite, restandoci.

Walter Veltroni

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