E' uno dei fuoristrada più amati in America e le sue origini risalgono a 60 anni fa - di MAURIZIO CALDERA
Si fa presto a dire Ford Bronco, o Ford Mustang. Nomi inventati? No, vengono entrambi dallo spagnolo: Broncos (scontroso) – i cowboy americani definivano bronco un cavallo non addestrato – e “mesteno” o “mestengo” secondo i messicani, “mustani” in Italia. I mustang, che significa letteralmente non domato, sono una popolazione equina selvatica dell’America nord-occidentale, che viveva in quello che fu il territorio protagonista di infiniti film, il Far West. I primi mustang discendono dai cavalli spagnoli portati in Messico subito dopo la scoperta di Colombo, nel Cinquecento. Alcuni equini sfuggirono al controllo umano o furono catturati dai nativi e si diffusero rapidamente in tutta l’area dell’America nord-occidentale. A partire dalla metà dell’Ottocento il patrimonio genetico dei mustang fu arricchito dal contributo dei cavalli dei pionieri (sfuggiti o liberati di proposito). Una volta diventavano Broncos. Seza dimenticare che, con il nome Mustang, venne ribattezzato anche il caccia americano P-51, uno dei protagonisti della Seconda Guerra mondiale.
Le origini
Il primo esemplare del Ford Bronco vide la luce nel 1965, quasi 60 anni fa. Oggi però il Bronco ha solo il nome in comune con la prima generazione; in oltre mezzo secolo, infatti, la tecnologia ha portato un’autentica rivoluzione nel mondo auto e nei sistemi offroad. Tra il ’65 e il ’96 il Ford Bronco venne prodotto in cinque serie, crescendo di pari passo nelle dimensioni con il succedersi delle versioni. All’inizio si avvaleva di un pianale interamente dedicato, ma già col restyling del 1978 venne assemblato sul telaio dei pick up F-Series (il Ford F-150 è stato il light truck più venduto negli USA per alcuni decenni) con carrozzeria 2 porte e la scelta tra la trazione posteriore o integrale, inseribile.
Mentre la prima serie (1965–77) era lunga appena 3,85 metri per 1,74 di larghezza – venne prodotta in oltre 230.000 unità – la seconda si allungò, anche grazie all’adozione del nuovo telaio, a 4,58 metri. Nel 1973, inoltre, il 6 cilindri di 2.800 centimetri cubi fu sostituito da un più potente sei in linea di 3.300 cc, mentre servosterzo e cambio apparvero nella lista degli optional. Le vendite del Blazer erano però il doppio di quelle del Bronco, inoltre aveva debuttato lo Scout II, salito alla categoria dimensionale del Chevrolet Blazer, e poco dopo nella rosa dei concorrenti apparve anche la Jeep Cherokee (SJ), che ottenne subito un grande successo di pubblico.
Gli altri protagonisti
Nel 1969 la Chevrolet fece debuttare il suo Blazer K5 (stesso nome del doppiopetto blu navy), che rimase in produzione fino al 1995, quando venne sostituito dallo Chevrolet Tahoe. Nel 1970 poi la GMC introdusse un proprio modello di veicolo commerciale, il GMC Jimmy, che rimase in produzione fino a quando, nel 1992, arrivò lo GMC Yukon. K5 Blazer e Jimmy avevano, fino al 1976, una copertura rimovibile, poi giunse anche la versione a doppia cabina. I modelli più piccoli, S-10 Blazer e S-15 Jimmy, iniziarono ad essere prodotti nello stesso anno, ma si era ormai arrivati al 1983. Il Blazer originale però venne prodotto fino al 1993.
Il K5 Blazer era a passo corto, nelle versioni a due o quattro ruote motrici. I motori disponibili erano due 6 cilindri in linea di 4,0 o 4,7 litri, mentre per i più esigenti si potevano avere due V8 di 5,0 o 5,7 litri e 170 o 230 CV. Cambio manuale a 3 rapporti per i 6 cilindri, manuale a 4 marce o automatico a 3 per i V8. Sempre nell’ambito delle parti speciali, inoltre, erano disponibili per il Blazer diversi tipi di sospensioni e distanziali, e pneumatici maggiorati.
La situazione in Europa
Circolavano in strada e fuori le Jeep che avevano affrontato la Seconda Guerra Mondiale, dall’Inghilterra arrivavano le prime Land Rover con passo di 86 pollici, poi 88 e 109 (la Range Rover arriverà solo nel 1971) e mosse da un motore benzina di 2275 cc, trazione anteriore inseribile, ma niente servosterzo né servofreno, e soprattutto poco angolo di sterzo. L’Italia della ricostruzione industriale però non volle restare “al palo”: Alfa Romeo, infatti, propose a poco meno di due milioni di lire la 1900 M AR/51 “Matta”, fuoristrada con telaio a longheroni e traverse in acciaio, equipaggiato con lo stesso motore delle “Pantera” in dotazione alla Polizia, un 4 cilindri in linea di 1884 cc capace di erogare 65 Cv a 4400 giri/min e spingerla fino a 105 kmh. La “Matta” supera pendenze di 50 gradi ed è in grado di guadare fino a 70 centimetri di profondità. Ma all’inizio degli anni ’50 il Ministero della Difesa ritenne opportuno sostituire le Jeep ormai cariche di chilometri con un prodotto italiano e alla gara indetta dal Ministero parteciparono l’Alfa Romeo con la “Matta” e la Fiat, con la sua Campagnola; fu proprio quest’ultima a vincere, sia per la grande equivalenza dei due prodotti, sia perché il fuoristrada torinese costava circa il 30% meno della rivale.
Intanto in Russia (o meglio nel territorio delle Repubbliche Socialiste Sovietiche) si diffondevano le GAZ. Al termine della produzione di GAZ-67, infatti, la società GAZ lanciò il modello GAZ-69 (si era nel 1953). La trasmissione venne sviluppata da zero, il motore derivava da quello della GAZ-20, ma alla fine del 1954 la produzione proseguì a Ulyanovsk, negli stabilimenti UAZ, continuando sino al 1972, per più di 600.000 unità, quando venne sostituita dalla UAZ 469B, poi costruita anche in Romania dalla ARO su licenza.