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Il mito intramontabile delle "piccole" turbo

Il mito intramontabile delle “piccole” turbo

C’è stata una generazione di ragazzi abbacinata dal mito delle competizioni, delle corse e delle sportellate in pista. Così, dopo aver superato indenni il periodo delle impennate in bicicletta e delle evoluzioni sui motorini, emulando le gesta del campione di turno, una volta con la patente di guida in mano il primo desiderio era quello di mettersi al volante di una piccola «bombetta». Tale moda, diffusa a partire dagli anni ’80, ha avuto poi grande risonanza anche nel decennio seguente con schiere di giovani entusiasti nei riguardi di una categoria di macchine, che gergalmente venne ribattezzata “bare a quattro ruote”. Un nomignolo poco lusinghiero, ma tremendamente efficace per far capire la tempra di auto crude, che potevano essere guidate soltanto da chi possedeva il manico giusto e una bella dose di pelo sullo stomaco. In sostanza parliamo di veicoli dal peso ridotto e dalla forte spinta, che non ammettevano la minima distrazione: bisognava dare loro sempre del lei, perché al primo errore le conseguenze sarebbero state nefaste. Le case automobilistiche si affastellavano a sfornare versioni pepate delle loro utilitarie, seguendo la semplice miscela del successo: motore potente e prezzo di listino abbordabile. Probabilmente, la capostipite è stata la Volkswagen Golf GTI, colei che ha dato il via alla moda delle piccole sportive, derivate da un modello di grande diffusione. Poi, sono arrivate le francesi a voler lasciare di stucco gli appassionati, prima con la Renault 5 Alpine, e poi con la 5 Turbo, ancora più estrema nelle sue forme spumeggianti. A metà anni Ottanta arrivava anche la Peugeot 205 GTI, veloce e dannata, quasi come la 205 T16 che dominava nel mondo dei rally. Anche l’Italia ha dato il proprio contributo alla specie. Quante leggende sono state raccontate e hanno avuto come protagonista la Fiat Uno Turbo?

Infinite. C’è chi snocciolava imprese ai semafori, millantando di aver sverniciato il malcapitato di turno con il macchinone più blasonato. Quell’epoca è scaduta da un pezzo, ma il suo fascino è rimasto intatto. Tanto che nei tempi moderni, c’è chi ha portato avanti la tradizione in modo abbastanza fedele. Fino a non troppo tempo fa, chi ricercava un’auto coinvolgente e – quasi – indomabile poteva mettere le mani sulla BMW 140i. Berlina compatta, agile e rigorosamente a trazione posteriore. I suoi 340 CV sono una garanzia di divertimento e scodate. Un’altra gemma da non sottovalutare è la Ford Focus RS, una naturale evoluzione delle varie Escort e Sierra, che riempivano il palato degli amanti della guida affilata. In cima alla piramide, forse, potremmo collocarci la Mini John Cooper Works GP, vero tributo alla follia e all’esuberanza, coi suoi 306 CV custoditi in uno scrigno seducente e leggero.

Con lei si può viaggiare fino a 260 km/h. Dunque, la specie è in via di estinzione ma ci sono alcuni esemplari che tengono viva la categoria. Da una parte abbiamo le Abarth 695 e 500e, grintosa e festaiola la prima, pensata per una scarica di adrenalina alla spina la seconda, dall’altra la Honda Civic Type R ma soprattutto la Toyota GR Yaris, piccoletta arrabbiatissima e furiosa coi suoi 280 CV. La giapponesina costa cara ma regala intense emozioni. Grazie anche ai trionfi nel WRC, la Yaris tutto pepe è diventata un fenomeno di culto, in grado di scatenare la voglia dei collezionisti, che fanno a gara per mettersela in garage, e degli appassionati che hanno fondato numerosi club in tutto il globo. Con lei si potrebbe tornare al bar dagli amici e raccontare storie di fantasia, facendo credere a tutti di aver compiuto imprese funamboliche. Un po’ come ai vecchi tempi.

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