Gli occhi e l’anima: quello che di Senna non si è mai visto
Autodromo di Imola, 1 maggio 1994, Gran Premio di San Marino. È domenica, le quattro e venti della sera. Settimo giro. L’indicatore segna 304 km all’ora: Senna imposta la tangente per affrontare la curva del Tamburello. Sposta la macchina un po’ a destra, dà un paio di colpi forti sul freno. Tardi, come faceva sempre, così vicino alla svolta come nessuno riusciva a fare. La sua Williams sobbalza, non curva, va diritta sul muro. Qualcosa si è rotto, forse una leggera sconnessione dell’asfalto, forse le due cose insieme. Occorreranno due processi e 13 anni di dibattimenti per non chiarire del tutto cosa accadde. L’auto sbatte, rimbalza, un pezzo del piantone dello sterzo gli perfora il casco penetrando come una lama tra la calotta e la guarnizione, l’unico pertugio vulnerabile. Con regolamentare cinismo, il presidente della Fia, Bernie Ecclestone, decide che è meglio aspettare la fine della corsa per annunciare che Ayrton Senna è morto.
Lascia un mondo incredulo. E 150 milioni di orfani nella sua patria: dall’altra parte del pianeta il Brasile si ferma, muto e lacrimante. Senna era la sua diversità: lui così bianco, ricco, veloce. Figlio di una terra sempre disperata e sconfitta. Un perfezionista, grande piede, splendida testa, riservato nella sua solitudine anche se muoveva la passione delle folle. Un mistico dagli occhi profondi. L’ultimo viaggio, quello di ritorno a casa, lo farà in business class, dietro la quarta fila di sedili dei passeggeri paganti. Il comandante della Varig, la compagnia aerea che lo trasporta, era di San Paolo come lui. Si rifiutò di far caricare la bara nella stiva, come un bagaglio qualunque.
Completa l’esposizione il ciclo di cinque appuntamenti di incontro e dibattito che coinvolge piloti, giornalisti, progettisti e amici, gli affetti e i rivali di sempre nella ricostruzione corale della vicenda sportiva e personale del campione. Tra questi, lo speciale evento del 1 maggio con un collegamento streaming con l’Autodromo di Imola per le celebrazioni commemorative alla curva del Tamburello. Insomma, non la solita esposizione ma un viaggio immersivo, avveniristico e coinvolgente tra installazioni di vetrate e metallo, con oltre 20 schede sulla vita di Senna, e le sue frasi impresse sulle pareti.
«Ayrton ГЁ rimasto impresso nell’immaginario collettivo anche di chi non ГЁ un patito di F1 – spiega Carlo Cavicchi – perchГ© ГЁ stato l’unico grande campione morto in diretta e in mondovisione. E per i suoi occhi che ipnotizzano con un magnetismo intrigante che non può lasciare indifferenti. Tutti quelli che c’erano, ricordano dov’erano e cosa facevano il giorno della sua morte. Per gli appassionati invece ancora oggi è una pietra di paragone: nei sorpassi, nel numero delle pole position conquistate, nel modo unico che aveva di correre».
Senna credeva in Dio, non si vergognava a dirlo: lo vedeva sul traguardo, diceva che Lui lo aspettava. E che sentiva la propria anima staccarsi dal corpo prima di ogni partenza. C’è una foto del cimitero di Morumby, la sua tomba è la numero 11. Vasi di margherite, una bandiera carioca, la lapide: “Nulla mi può separare dall’amore del Signore”. Sembra il traguardo di chi correndo cercava una pace interiore, nascosta dietro l’ultima curva.