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Enrico Brignano: «Non ci sono più i coatti buoni: ora la romanità è solo cafona»

L’infanzia a Dragona, periferia sud di Roma: «Ridente borgata tutta abusiva e non contemplata dal piano regolatore, affacciata su una bella marana — affluente del Tevere — e con certe zanzare da tre etti, tre etti e mezzo, che decollano verticalmente» (dallo show «Enricomincio da me»). «Non era nemmeno segnata su Tuttocittà. Capitava tra D1 e D14, proprio in mezzo alla piega. Per le strade girava l’eroina, ma se arrivavi a quel punto eri già perduto da tempo. E c’era la banda della Magliana, però a casa mia a mantenere l’ordine ci pensava papà Antonino. Di poche parole. Più che altro emetteva suoni. “Ahò… ehè… e no… che non ce lo sai… embè… e allora!”. Ci metteva a posto così, me e mio fratello Gaspare, che in effetti non siamo mai finiti in questura. “Viè qua che te devo menà, nun me fa core che è peggio”. Quando guidava, con mamma accanto e noi seduti dietro, senza aria condizionata, con coperte abruzzesi stese sui sedili di finta pelle — mica avevamo cuffiette e playlist — se ci azzardavamo a chiedere “Siamo arrivati?”, ci mollava subito una cinquina».

Com’era casa Brignano? «Famiglia piccolo-borghese, quel poco che avevi te lo facevi bastare. Papà faceva il fruttivendolo. Pulivo le verdure, spostavo le cassette. I bambini devono imparare, sennò crescono che non sanno fare niente, manco la pasta, non sanno se ci vuole l’acqua o si cuoce al sole. Per divertirsi c’era il campetto. O le giostre, alla festa patronale di Santa Maria Ausiliatrice, “Tieni ‘ste cinquemila lire e portami il resto”. La prima camera da solo l’ho avuta a 30 anni, quando sono andato via di casa»

Le gite a Roma per fare colpo su una ragazza. «Con la Fiat 124 di sesta mano per arrivare in centro ci voleva un’ora e mezza, di sabato anche due. E 10 mila lire di benzina, cambio acqua e olio, consumava quanto un Leopard. Per risparmiare montai il bombolone a gas. Mettevo Radio Mambo, ma c’erano continue interferenze di Radio Maria — “Sia lodato Nostro Signore”— che si sentiva pure sotto al Gran Sasso. Del resto il mio era un viaggio della fede, nella speranza che lei ci cascasse. Puntavo sullo sfinimento, avevo due orecchie a sventola che levati, la giacca con due spalline grosse così, parevo Actarus di Ufo Robot».

Prime prove da attore. «Sul mitico trenino Roma-Lido che prendevo ogni giorno per andare a scuola. Studiavo da tecnico di industrie meccaniche perché, come diceva mio padre “un pezzo di carta ce vò, quanno è là… ehè…” . Tra una fermata e l’altra proponevo le imitazioni: Corrado, Mike, Vanoni, Fabrizi, Fanfani e Andreotti. La gente si divertiva. Ma io controllavo chi non rideva. Mi prendeva d’aceto. E mi accanivo finché non cedeva».

L’incontro con Proietti. «Lo vidi in tv, parlava del suo laboratorio teatrale. A 17 anni, accompagnato da mamma e papà, andai a Trastevere a chiedere informazioni. Ma arrivò la cartolina rosa. Apro parentesi: quando in caserma scattò il contrappello, le altre “spine” mi avvisarono: “Attento che passa il sergente di giornata a controllare i letti”. E io: “Capirai, non conoscete mia madre, se non metto a posto il pigiama e le ciavatte, altro che stai punito”».

Il provino con il Maestro. «Quando Gigi entrò, quasi non riuscivo a parlare, ero tesissimo, volevo morire sul posto. Lui impassibile. Disperato, attaccai con lo sketch dell’annuncio dei treni in partenza, ripetuto in ogni dialetto. Alla fine ridevano tutti i provinanti. E pure Gigi. Mi ero fatto le ossa con le serenate sotto ai balconi. In sei, vestiti da Rugantino, pantaloni di velluto pure ad agosto. Ci davano 700 mila lire, una piotta a testa».

Con i fratelli Vanzina in «South Kensington». «Dissero: “Lavorerai con Judith Godréche”. Aveva recitato con Leonardo DiCaprio. “E mo’ si ritrova con Brignano da Dragona”. E infatti “ci è annata in puzza”, come si dice da noi. Dovevamo girare la scena dell’incontro in aereo, che si chiudeva con un bacio. Dentro un simulatore di volo nella campagna londinese. Pioveva che dio la mandava, avevo i capelli lunghi e gonfi, parevo mi zia con la messa in piega. Lei aveva a disposizione una Mercedes e quattro addetti con gli ombrelli, la guardai sperando si impietosisse, mi lasciò lì sotto il diluvio. A quel punto parevo sempre mia zia, però matta. Presi il pullman delle comparse, arrivai in ritardo e beccai pure il cazziatone dei Vanzina. Mi spedirono ad asciugarmi i capelli, impazziti come la maionese. Girammo la scena del bacio: il più brutto dei baci brutti del cinema».

Perché un suo show si chiamava «Brignano con la O»? Sbagliavano cognome? «Sempre, anche ora. Mi chiamano Brignani. O Grignani. “’A Gianlù, come stai?”. Oppure: “T’ho visto al gioco dei Pacchi, forte eh”. Faccio finta di niente e ringrazio».

SPQR: sono pesanti questi romani di oggi? «Siamo in caduta libera, nel declino totale anche della lingua. Ridotti al “Bella, fratè”. La romanità vera non c’è più. Quella di adesso — auto a noleggio e mazzette di soldi mostrate su TikTok — non mi piace, è cafona e sgraziata. Il coatto buono di cuore non esiste più, rimpiazzato da gente che si tatua il filo spinato sul braccio o si fa il polpaccio nero, manco avesse strusciato contro la marmitta».

I suoi migliori amici? «Per una questione di igiene mentale, sono persone che non fanno questo mestiere. Nel mio ambiente mi trovo bene con Salemme e Panariello, Maurizio Casagrande, Max Tortora, Lillo. Ma quando hai bambini piccoli, molti ti cancellano. Altro che drink e aperi-cena, noi al massimo chiediamo: “Ce l’hai lo Zymil?”».

Giorgia è vicina di casa. «A due appartamenti dal mio. La sento cantare. Ci incontriamo ai bidoni con i sacchetti dell’umido».

Il 30 luglio è il primo anniversario di matrimonio. «Non avrei scommesso sulla crisi del settimo mese, invece… Si sono lasciati Albano e Romina, Totti e Ilary, noi no, anche se io non ho Rolex, al massimo porto lo Swatch».

Liti futili per…? «Io sistemo le ciabatte al lato del letto, Flora potrebbe mettere i calzini sul divano».

Il giorno delle nozze le venne il colpo della strega. «Colpa dell’aria condizionata a -18. Un male cane. “Corri e porta il bisturi”, supplicai il dottore. La tata Laura mi ha fatto un siringone alle 10 e uno alle 15, la sera al ricevimento ho pure ballato».

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