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Vincenzo Lancia e l’era romantica dell’automobile

Un articolo di giornale del 1962 racconta bene la figura del fondatore di un marchio che oggi lotta per recuperare un posto al sole

Vincenzo Lancia e l’era romantica dell’automobile

Sulla rivista periodica “Lancia“, uscita tra gli anni sessanta e i settanta, fu ripubblicato un articolo di Cesco Tomaselli, celebre giornalista del Corriere della Sera. Il motivo è presto detto: aveva voluto raccontare la storia non banale di Vincenzo Lancia, fondatore del marchio omonimo e imprenditore d’altri tempi. Tributiamo la memoria di entrambi riproponendo alcuni estratti di quell’articolo.

“I torinesi del principio del secolo conobbero i pionieri quando essi medesimi ancora non sapevano di essere tali. Però guardate. Avvengono nella storia dell’industria gli stessi fenomeni di vocazione e di precocità che si osservano nel campo delle arti e del pensiero. Quel giovinetto di Fobello, nell’alta Val Sesia, che a diciassette anni diede il primo dispiacere al padre troncando gli studi per entrare, in un piccola officina che il meccanico Giovanni Ceirano aveva affittato per ripararvi biciclette (poi costruì anche automobili) era uno che aveva il raro dono di sapere ciò che voleva fare. Si chiamava Vincenzo Lancia. Qualche anno dopo la Fiat, ch’era nata nel 1899, assorbiva la Ceirano, e il valsesiano non più giovanetto respirava un’aria carica di idee e di iniziative. Non stette molto nello stabilimento di corso Dante. Nel 1906 prendeva congedo dall’azienda già preminente sul mercato e con centomila lire (metà sue e metà del compagno di lavoro Claudio Fogolin di San Vito al Tagliamento) fondava la fabbrica di automobili che avrebbe onorato il suo nome“.

Lancia Trevi Bimotore, la 4×4 di Giorgio Pianta

“La prima Lancia costruita in una modesta rimessa di via Ormea usciva un anno dopo, nel settembre del 1907. Consisteva in un telaio leggero, basso, a sospensione articolata, era azionata da un motore a quattro cilindri, capace di 1450 giri quando la velocità di rotazione dei motori non superava allora i mille, ma fissava già il tipo su cui si sarebbe sviluppata la produzione. Viene ricordato un particolare gustoso; la macchina nascente aveva talmente assorbito la mente dei costruttori che solo quando venne il momento di guidarla fuori si accorsero che non passava dalla porta carraia, onde fu giocoforza brandire un piccone e con gran colpi allargarne gli stipiti. Alla fine dell’anno quel «rivoluzionario» veniva rivestito di carrozzeria e i torinesi videro circolare una vettura che mostrava già evidenti i segni di un nuovo indirizzo. Da allora fu un susseguirsi di esperienze e di innovazioni“.

“Ogni vettura offerta al mercato era frutto di lunghissimi studi, di accurati collaudi. La sua uscita faceva avvenimento. Chi non ricorda, dopo la prima guerra mondiale, la fortunata serie delle Lambda? Si racconta che l’idea della prima vettura al mondo con «struttura portante» gli sia balenata durante un viaggio marittimo, durante il quale si era vivamente interessato alla struttura della nave in relazione alle forti pressioni sostenute e che abbia concepito di trasferire una consimile tecnica al veicolo allora costruito secondo i vecchi schemi della vettura a cavallo, cioè con un telaio che sopportava da solo ogni sollecitazione. Le ruote indipendenti della Lambda avevano avuto origine da un’altra esperienza, quando era salito alla natia Fobello sobbalzando maledettamente sull’erto sassoso“.

FP | Samuele Prosino RIPRODUZIONE RISERVATA

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