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Formula 1: si rischia una guerra di secessione?

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Formula 1: si rischia una guerra di secessione?

Il luogo si presta bene. D’altronde, fu proprio ad Austin che il 21 gennaio 1861 il governatore del Texas Sam Houston indisse una riunione del parlamento texano dopo l’elezione di Abramo Lincoln a presidente degli Stati Uniti. Cercò di evitare la secessione ma non ci riuscì. Ad oltre 160 anni da quell’episodio un’altra secessione incombe, ma con connotati sportivi ed economici e, soprattutto, meno cruenta di quella che fu una guerra civile americana che causò morti e distruzioni. Qui si tratta invece di una secessione che potrebbe contribuire alle casse delle 10 squadre presenti nel mondiale F.1 e mettere in un angolo la FIA, la federazione internazionale. Da tempo, infatti, fra il promotore, Liberty Media, e il gestore dei diritti sportivi, la federazione, ci sono punti di contrasto.

Per semplificare il concetto diremo Stefano Domenicali da un lato, in rappresentanza del promotor, e Mohamed Ben Sulayem in quanto presidente della FIA. La federazione non è che navighi in buone acque economiche: troppe attività, pochi introiti. La maggior parte arrivano proprio dalla F.1 mentre le altre categorie sono in affanno, tanto che la W Series, il campionato al femminile, ha chiuso con 2 gare di anticipo e 7 milioni di buco. La FIA è un ente no profit, non può gestire economicamente le serie agonistiche, per cui qualche anno fa nell’accordo di scissione del potere legislativo e quello economico, imposto dalla Commissione Europea, la FIA dovette cedere ad altri il controllo degli sponsor e degli introiti dei campionati. Fin qui è storia. Come è noto, peraltro, che la FIA, con la sua campagna di sicurezza stradale, ha la possibilità di accedere a fondi dei vari ministeri e al gettito garantito alla fondazione per la sicurezza stradale dalle Case e dai vari meccanismi utili a garantire la ricerca e sviluppo in materia di circolazione.

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Ma si tratta di fondi separati dalla pura gestione sportiva. Nel contempo il mondiale F.1 sta vivendo una crescita di interesse e con il limite di spesa alle squadre, l’attività comincia ad essere redditiva anche per i team che normalmente chiudevano in passivo i bilanci. Liberty ha investito sui social, sulla comunicazione e gestisce i diritti TV delle gare oltre che i contratti con i circuiti e gli organizzatori. La FIA in tutto questo fa il notaio e percepisce un contributo per lo staff di commissari e direttori di gara. Ma tutto questo non basta più e ci vogliono più soldi, ogni situazione è buona per creare discussioni, vedi le gare sprint (passate da tre a sei) con richiesta di maggiori indennizzi per i commissari, mentre dal lato Liberty si obietta che un’ora di qualifica o 40 minuti di gara sprint, in fondo è lavoro in meno per gli stessi commissari, già pagati. In tutto questo Ben Sulayem sta cercando di ristrutturare una federazione legata a doppio filo a Jean Todt e alla sua gestione, per cui scardinare e rimettere ordine nei vari strati, si sta rivelando una impresa difficile.

A parte le casse vuote o con meno soldi di quelli che vorrebbe, ci sono una serie di figure intermedie, centri di potere che Todt aveva saggiamente diviso fra varie nazioni e una apertura a un nuovo mondo da parte di Ben Sulayem che trova difficoltà ad imporsi. Nel frattempo cresce il malumore fra le squadre che, ricordiamo, hanno sempre approvato i regolamenti fra di loro mentre la FIA ha sempre fatto da testimone agli accordi. Lo faceva Bernie Ecclestone con Max Mosley e lo faceva lo stesso Bernie in passato con Balestre o chi fosse dall’altro lato del tavolo, col beneplacito della Ferrari e dei bonus elargiti con generosità, compreso il potere di veto alle nuove regole. Questo lo scenario di ieri, adesso sono cambiati i protagonisti, i soldi e lo scenario. In Liberty Media si sta valutando con attenzione l’ipotesi di un campionato di F.1 fatto di professionisti.

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Piloti, squadre, commissari e circuiti sotto un unico ombrello. Quello Liberty. Una idea non nuova visto che Bernie Ecclestone ci aveva già pensato e addirittura nel 2009 una cordata con Montezemolo al comando e uomini delle Case partecipanti al mondiale avevano sondato il terreno. Senza costrutto, se non che Bernie se ne uscì con la famosa frase: “Abbiamo comprato il silenzio della Ferrari” lasciando intendere che la cosa non proseguì per scarsa attenzione del team di Maranello. Oggi lo scenario è diverso, Liberty Media non è la FOM di Ecclestone ma una società con un CDA che deve produrre utili e non avere… rotture di scatole intermedie e se le pretese della FIA superano certi livelli, l’idea di secessione prende forma. Una NFL a motore, una sorta di IRL e IndyCar del passato. Ma possono farlo? Sì, perché hanno tutto: soldi, circuiti, organizzazione, team e piloti. Conviene farlo? No. Perché la FIA ha il potere sportivo e se un circuito dovesse ospitare una gara di F.1 potrebbe essere sanzionato col divieto di ospitare altre categorie. Non ultimo il WEC, un campionato FIA dove stanno arrivando 13 Case costruttrici e l’interesse cresce giorno dopo giorno.

Questo campionato costruttori potrebbe essere davvero il contraltare della F.1, visto che anche la Ferrari schiererà una vettura. Inoltre un pilota che dovesse correre in F.1 senza l’autorizzazione della FIA non potrebbe correre in altre categorie una volta smesso col circus, e lo stesso dicasi per tutti coloro che potrebbero trovarsi le porte chiuse in seguito. Una sorta di scomunica ad divinis nel mondo dei motori. Infine, c’è il problema di credibilità della FIA, messo a dura prova dai recenti fatti avvenuti nel circus iridato. Fatti non del tutto casuali e fomentati ad arte per sminuire o svilire il ruolo della federazione. Ben Sulayem lo sa ma lo sa anche Domenicali. Come finirà? Come la guerra di secessione americana. Ci sarà qualche vittima (leggi direttori di gara o qualche organizzatore) ma poi tutti uniti sotto il simbolo del dollaro ritroveranno un equilibrio. Quale, al momento non si sa. Ed è questo il vero nocciolo: non sapere ancora dove si va a parare.

In collaborazione con Automoto.it

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