Dal 4 luglio le auto elettriche prodotte in Cina saranno soggette a dazi. Qualche esempio: a partire dal 17,4% (Byd), il 20% (Geely) e fino al 38,1% (Saic). È la conclusione, in via preliminare, a cui è arrivata la Commissione Ue. Attualmente le tariffe doganali per l’import in Ue si attestano al 10%.
Pechino ha già replicato di essere pronta a difendersi. Ostacoli, infatti, i cinesi potrebbero porli sulle esportazioni dal Vecchio continente e sulle forniture e disponibilità di quelle materie prime necessarie per la produzione delle batterie. Bruxelles e Pechino tentano di trovare una soluzione prima della scadenza fissata.
Anche su questo tema, però, l’Europa si trova divisa. L’introduzione dei dazi, appoggiata da Italia, Francia e Spagna, ma osteggiata da Germania, Svezia e Ungheria, dovrebbe portare a entrate stimate in circa 2 miliardi l’anno.
Contrario ai dazi, dopo essere stato in un primo tempo favorevole, è il gruppo Stellantis guidato da Carlos Tavares. «Crediamo nella concorrenza libera e leale – viene sottolineato – e non a misure che contribuiscono alla frammentazione del mondo». Stellantis, intanto, nel ricordare di prepararsi a vendere in Europa veicoli prodotti sotto la Muraglia dal partner cinese Leapmotor, afferma di ritenersi «agile nell’adattarsi e nel trarre vantaggio da qualsiasi scenario» e, guardando a Leapmotor, «di aver tenuto conto di questo potenziale sviluppo».
Dazi europei sulle auto elettriche cinesi, dunque. Peccato che, visto il rallentamento di questo mercato in Europa, insieme ai nuovi scenari che si prospettano dopo le elezioni, i big di Pechino hanno ora lanciato l’attacco con modelli endotermici e ibridi, anche di dimensioni compatte e a prezzi concorrenziali. Chiara la tattica: i costruttori occidentali, per concentrarsi sul fronte dell’elettrico e macinare margini con un’offerta soprattutto premium, hanno investito meno sulle tecnologie tradizionali, da sempre loro punto di forza, e sulle vetture compatte (poco remunerative) lasciando campo libero al Dragone.
Chery, Dongfeng e Saic stanno vagliando numerose possibilità per produrre direttamente nel Vecchio continente. Anche l’Italia, dopo i molteplici inviti del ministro Urso, figura tra le possibili location.