Vittorio Emanuele di Savoia e la MV 600 quattro cilindri
Come già sapete, è scomparso sabato scorso Vittorio Emanuele di Savoia, classe 1937, figlio dell’ultimo re d’Italia Umberto II. Negli anni, le cronache si sono occupate di lui soprattutto per alcuni episodi incresciosi, come quello dell’agosto 1978 sull’isola di Cavallo in Corsica: ubriaco e offeso da un gruppo di giovani, il Savoia sparò una fucilata che ferì a morte Dirk Hamer. Fu assolto, è vero, ma fu anche intercettato in carcere mentre si vantava di aver “fatto fessi” i giudici.
“Piazzava” gli elicotteri per il conte Agusta
Ossessionato dall’idea di ricostituire il patrimonio familiare – come scrive sul Corriere Marco Imarisio – l’erede al trono dei Savoia si era costruito una reputazione da mediatore vendendo in giro per il mondo gli elicotteri prodotti dal conte Agusta. Tra i suoi clienti più famosi ci fu anche lo scià di Persia Reza Pahlavi: gli elicotteri civili riapparivano in seguito, dotati di mitragliatrici e lanciarazzi, nelle varie guerre in Sud Africa, Singapore, Malesia, Afghanistan.
Queste triangolazioni erano illegittimità che l’Onu denunciò più di una volta. Negli anni Settanta il Savoia fu addirittura accusato di traffico d’armi dal giudice veneziano Carlo Mastelloni che però, guarda caso, venne trasferito d’urgenza a Roma. Tra i benefit dell’”erede al trono” comparve in quell’epoca anche una MV 600: lo ricordo bene in sella quattro cilindri sulle pagine dei rotocalchi, come ricordo lo stesso scià di Persia sulla massiccia moto italiana.
Dopo un primo, timido tentativo nel 1950, la 600 4C fu presentata al salone di Milano del 1965. Il motore derivava del quattro cilindri in linea bialbero della 500 GP imbattibile dal ‘56, ma erogava soltanto 52 cavalli a ottomila giri (la potenza di un bicilindrico), aveva la trasmissione finale ad albero e il cambio a cinque marce. Era una moto da passerella, al massimo da turismo: lussuosa, comoda, pesante e costosissima.
Avevo 17 anni e una Gilera 98 Giubileo, all’epoca. Quella moto non riuscì ad emozionare me come nessun altro, anche se adesso potrebbe avere un bel valore commerciale perché ne hanno fatte pochissime: 310 pezzi tra il ‘67 e il ’70. Era goffa, serbatoio e faro quadrato enormi, lugubre e nera come un corvo, con la sella già a due piani, delle belle testate ma i carter giganteschi e brutti. All’avantreno aveva una coppia di freni a disco con comando meccanico. Si parlava di 230 chili e 165 orari. Poi nel ’70 sarebbe arrivata la sportiva 750 Sport 4C, sempre penalizzata dalla trasmissione a cardano ma molto più appetibile.
Libanori e la consegna a Ginevra
Incaricato della delicata missione fu il celebre collaudatore e pilota della MV Agusta Fortunato Libanori, classe 1934, che meriterebbe una storia a parte per le sue qualità e la sua competenza. Libanori era un sopravvissuto: la scuola elementare che frequentava a Gorla, periferia di Milano, fu bombardata nel ’44 dagli alleati; la classe di Fortunato fece in tempo a trovare ricovero, ma sotto le bombe morirono 184 bambini e 19 adulti, morirono anche un fratellino di Fortunato e un cuginetto.
Appassionato di motori e ottimo pilota, Libanori divenne un uomo MV e uno stretto collaboratore del conte. Fu collaudatore, pilota da podio anche in qualche gara di mondiale, protagonista dello sviluppo di quella 600 4C: la prima stradale italiana a quattro cilindri. Parallelamente divenne anche un pilota vincente nella motonautica con cinque titoli europei e due mondiali. E’ scomparso nel 2006.
Me lo vedo, Fortunato Libanori che carica la moto sul camion, la lega con mille attenzioni e parte in direzione della Svizzera. Sicuramente si aspettava un’accoglienza regale e in qualche modo la ottenne: assente il destinatario, in villa si trovò davanti la madre di lui, niente meno che Maria Josè del Belgio, figlia di Alberto Primo di Sassonia-Coburgo-Gotha e di Elisabetta Duchessa di Baviera. Una madre molto ostile, davanti a una moto.
La nobildonna era assolutamente contraria a che il figliolo usasse la due ruote. Si dice che Libanori venne cacciato in malo modo, ma poiché era un uomo intelligente e dalle mille risorse trovò una soluzione: si mise d’accordo con un garage nelle vicinanze e lì scaricò la MV 600. Vittorio Emanuele, quando voleva farci un giretto, andava a ritirarla all’insaputa di mammà, come uno scolaretto.
In collaborazione con Moto.it