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L’uomo che vendeva i “bidoni“ sudamericani

l’uomo che vendeva i “bidoni“ sudamericani

Quel calciatore è un bidone. Quante volte l’abbiamo detto. Perché “bidone“? Per scoprire da dove viene il termine occorre leggere l’intenso libro di Marco Ferrari (già autore de Alla rivoluzione sulla due cavalli) e Marino Magliani, Sporca faccenda, mezzala Morettini, edito da Blu Atlantide. La vicenda si svolge nel dopoguerra e racconta la storia di un “venditore di piedi“, una di quelle mezze figure di procuratori o agenti sportivi che negli anni ‘40 e ‘50 ma addirittura fino agli ‘80 (clamoroso il caso di Luis Silvio, ne parleremo dopo) si industriavano a importare in Italia calciatori sudamericani. Talvolta erano veri campioni (Sivori, Angelillo, Sormani), talaltra dei veri e propri bidoni, appunto, che venivano spacciati per fuoriclasse. Il libro è un romanzo, ma si ispira a fatti veramente accaduti. Era un’epoca in cui non esisteva Internet, la tv nemmeno, forse qualche radio – ma l’oceano era ancora un ostacolo che si poteva superare solo a bordo di transatlantici.

L’unico modo che le squadre europee avevano per conoscere, almeno sommariamente, il mondo misterioso e fiabesco del calcio sudamericano, dei giocatori dei campetti dei barrios di Buenos Aires, o dei deserti flagellati dal vento della Patagonia, era El Gráfico. Un settimanale sportivo che ogni sette giorni riferiva di partite, calciatori, risultati, statistiche. Accadde che uno di questi procuratori trovò il modo, attraverso un amico che lavorava in tipografia, di pubblicare falsi numeri in cui venivano magnificati calciatori di scarso talento.

Nel romanzo questo scalcinato trafficante di piedi si chiama Alvaro Menconi, nativo di Carrara, ma gli autori assicurano che il personaggio è esistito veramente, e prova ne sono i numerosi bidoni appioppati in quel periodo alle squadre italiane. Grazie al falso Gráfico che arrivava appunto in transatlantico, i presidenti delle squadre si lasciavano convincere ad acquistare quei calciatori così incensati dai giornalisti. Le nostre squadre erano avide di oriundi, sia nell’immediato Dopoguerra, sia soprattutto dopo il 1966 quando la Federazione, a causa della sconfitta con la Corea, proibì l’arruolamento di stranieri.

Il primo bidone che si ricordi porta il nome di Elmo Bovio, argentino, arrivato da Montevideo nel 1946 e prontamente sbolognato all’Inter, insieme ad altri quattro: Alberto Paolo Ceroni, Luis Alberto Pedemonte, Tomaso Luis Volpi e Bibiano Zapirain. Bastano poche partite per capire che non si tratta di campioni, anzi: lenti, impacciati, senza controllo del pallone.

Ma il più folcloristico è proprio Elmo Bovio: incapace di adattarsi al clima lombardo, per proteggersi dal gelo scende in campo con un basco in testa. In una partita contro il Torino viene lanciato da solo verso la porta avversaria. Ma, al momento di entrare in aria, il cappello gli cade, lui si ferma a raccoglierlo e lascia sfumare l’occasione di gloria. Un’altra volta, contro il Bologna, sparisce letteralmente dal campo: lo ritrovano nello spogliatoio abbracciato alla stufa. Gli altri non sono da meno: incapaci di sopportare il freddo stanno fermi in mezzo al campo, le braccia strette al corpo. Fermi e immobili, come, appunto, dei bidoni. Non andò meglio alla Sampdoria che nel 1947 acquistò Oscar Lucas Garro, Francisco Culichio e Juan Carlos Bello: insieme collezionarono appena 7 presenze in tutte le partite.

L’ultimo caso è quello del leggendario Luis Silvio Danuello, ingaggiato con grandi speranze nel 1980 dalla Pistoiese appena promossa in A, giocò soltanto 6 partite e, a squadra retrocessa, fu abbandonato. Il libro rievoca le atmosfere antiche di un calcio favoloso, grandi campioni e leggendarie schiappe, giocatori venuti da terre misteriose al di là dell’oceano, pronti a entusiasmare o far inferocire i tifosi, ma in ogni caso, comunque, a farli sognare.

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