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Fiat Dino Spider, una piccola Ferrari travestita

Una valigia carica di penne biro e collant di nylon, un lungo viaggio da Roma a Cracovia sotto al sol leone che anticipa Ferragosto. Ai nastri di partenza, al “palo della morte”, ci sono il ruspante ed egocentrico Enzo e il demotivato Sergio, due poco più che conoscenti che vogliono vivere il brivido di un salto al di là della Cortina di Ferro e, perché no, fare qualche audace conquista amorosa. La vettura pronta per il viaggio è una fiammante, ma scarburata, Fiat Dino Spider di colore nero con un’eccentrica striscia rossa che sormonta tutta la fiancata, simile a un fulmine. Sedili recrinabili e vento tra i capelli, musica all’ultimo grido e può iniziare l’avventura. Se a qualcuno questo piccolo racconto non ha acceso la lampadina, ci proviamo adesso: questo è l’incipit di “Un Sacco Bello”, film di (e con) Carlo Verdone. Un piccola pietra miliare del cinema italiano, esordio fortunato dell’attore e regista romano targato 1980. La sportiva di quel film ha bucato lo schermo, come si suol dire, ed è diventata anch’essa una protagonista del film, attraversando questi quarant’anni senza mai perdere fascino. La chiamavano piccola Ferrari e mai paragone fu più azzeccato.

La Ferrari ha bisogno di un supporto

Siamo a metà degli anni Sessanta, la Ferrari sta progettando un motore a 6 cilindri che dovrà utilizzare nel campionato di Formula 2. Per l’omologazione servono cinquecento vetture da strada pronte a ospitare questo 2 litri V6. Enzo Ferrari crede che non sia il caso di dotare nessuna macchina del Cavallino con questo propulsore sotto dimensionato, per costi e tempi di produzione, ed è qui che nasce un accordo con Torino, in particolar modo con la Fiat. Al Lingotto sono ben contenti di dare una mano al Drake, e iniziano a sfregarsi le mani. L’auto che nascerà a seguito di questa joint-venture si chiamerà Fiat Dino, in onore di Alfredo Ferrari, figlio di Enzo, per tutti Dino. Il giovane ingegnere morì precocemente, a soli 24 anni, a causa della distrofia di Duchenne. Il motore V6 che porta il suo nome è una delle sue ultime intuizioni.

fiat dino spider, una piccola ferrari travestita

fiat dino

Per dare asilo a questa magnifica motrice, i tecnici della Fiat spremono le meningi a fondo e concepiscono una struttura molto sofistica, pur seguendo uno schema convenzionale. Il rombante propulsore di derivazione Ferrari viene adagiato davanti, per la trasmissione viene scelto un cambio manuale a 5 velocità, mentre la trazione è posteriore con differenziale autobloccante. La scheda tecnica prosegue con: avantreno a ruote indipendenti, retrotreno a ponte rigido e freni a disco sulle quattro ruote con servofreno. Insomma, tutte caratteristiche non convenzionali per una Fiat, ma perfette per una supercar che si rispetti. Oltre alla tecnica serve la bellezza, per questo lo stile della Dino viene affidato ai maestri di Pininfarina. La presentazione avviene all’ombra della Mole, al Salone di Torino del 1966. Un trionfo.

La Fiat Dino si rivela un successo

Sull’onda travolgente del successo della Spider, alla Fiat fanno uscire anche la Dino Coupé, stavolta disegnata da Bertone. Nel 1969, poi, arriva il momento di un primo sostanziale rinnovamento che passa da un pompaggio del motore, che diventa ancora più possente e carismatico. I litri diventano 2,4 e la potenza da 160 arriva a 180 CV a 6600 giri al minuto, cosa che permette alla Spider italiana di addentrarsi oltre la soglia dei 210 km/h di velocità massima, quando siamo all’alba degli anni Settanta. Un risultato strabiliante, che rende la Dino torinese un vero e proprio mito ambulante. Quando un’alleanza riesce a regalare dei frutti che sono ancora più succosi e prelibati di quanto ci si sarebbe aspettato dalle premesse.

Il motore 2,4 V6 di derivazione Ferrari, quando scocca la metà degli anni Settanta, sarà ripreso nuovamente dal Gruppo Fiat per equipaggiare un’altra leggenda dell’automobilismo: la Lancia Stratos. Quest’ultima è probabilmente la più leggendaria vettura da rally mai prodotta, capace di stracciare ampiamente tutta la sua concorrenza e di portare a casa ben tre titoli iridati nei suoi pochi anni di permanenza nel campionato del mondo. Questa, però, è un’altra storia. Tornando alla Fiat Dino Spider, così come per la sorella Coupé, l’avventura commerciale termina nel 1972, non lasciando eredi di fatto. In fondo, questo modello non doveva nascere propriamente con l’effige del colosso torinese, ma questo non le ha impedito di divenire una delle più desiderate auto della sua epoca. Il successo è stato di rilievo: 7.651 esemplari, tra versione aperta e chiusa. Un piccolo gioiello italiano da sfoggiare nelle serate più scintillanti, un oggetto da ostentare con vanità senza preoccuparsi delle reazioni altrui. Poi, per relegare la Dino Spider all’immortalità ci ha pensato Carlo Verdone, grazie alla forza del cinema nel quale il tempo non scorre mai, cristallizando momenti magici di epoche passate. Senza contare la grande ondata di popolarità di cui ha goduto, e gode tutt’ora, per la presenza in un “Sacco Bello”. Bella davvero questa Spider.

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