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Breve storia di Enzo Ferrari, il mito dell'uomo dietro al Cavallino Rampante

Quel soprannome degno di un pirata, “Drake”, in onore del grande corsaro inglese Francis Drake, fu una medaglia sul petto che i britannici posarono sul gonfio petto di un avversario come nessun altro, un cliente ostico a dismisura. Fu un misto di ammirazione e di accusa, nei confronti di un uomo devoto alla vittoria, il fine ultimo della sua piccola azienda che se la vedeva con i più grandi e potenti del globo. Riuscendo a sconfiggerli, quasi in ogni occasione. Poi, gli occhiali scuri sul volto e la penna dall’inchiostro viola con la quale firmare gli atti più importanti, tutti tranne uno: la vendita alla Ford, saltata all’ultimo tuffo. “Il commendatore”, “L’ingegnere”, il “Patriarca” o il “Grande Vecchio”, per tutti uno soltanto: Enzo Ferrari.

Una nascita avvolta nel mistero

Lo stesso Ferrari diceva di essere nato il 18 febbraio del 1898 a Modena, due giorni prima di quanto non dichiarasse l’anagrafe. Secondo il racconto del patron del Cavallino, suo padre a causa di una fitta nevicata fu costretto a ritardare la registrazione della nascita di un paio di dì. Questo racconto è avvolto nel mistero, perché gli strumenti di osservazione metereologica non denunciano nessuna neve in quel periodo storico, mentre la venuta del piccolo Enzo al mondo fu denunciata all’anagrafe dalla levatrice, in quanto il padre era assente. In ogni caso, poco importa.

Enzo è figlio di Alfredo e Adalgisa, mentre su fratello maggiore è Dino. La famiglia vive grazie all’officina di carpenteria meccanica fondata da Alfredo, che lavorava per le ferrovie, a Modena. Enzo non è un portento a scuola, stare tra i banchi lo annoia, mentre preferisce di gran lunga spendere il proprio tempo nell’officina del papà. Anzi, in cuor suo avrebbe tre desideri su chi essere da grande: il tenore di operetta, il giornalista sportivo o addirittura il pilota automobilistico.

Nel 1915 il padre Alfredo muore, mentre il fratello Dino viene arruolato come volontario per la Grande Guerra, dalla quale non farà mai ritorno. Anche Enzo partecipa allo sforzo bellico dell’Italia, tanto che viene assegnato al 3º Reggimento d’artiglieria alpina, ma nel 1917 è congedato a causa di una pleurite.

Le prime opportunità di lavoro

Riprendersi dalla malattia non è stato un sentiero semplice per Ferrari, che dopo il reintegro in società tenta la fortuna a Torino, ma la Fiat lo scarta. È un periodo duro, come lui stesso ebbe modo di raccontare: “Era l’inverno 1918-1919, rigidissimo, lo ricordo con grande pena. Mi ritrovai per strada, i vestiti mi si gelavano addosso. Attraversando il Parco del Valentino, dopo aver spazzato la neve con la mano, mi lasciai cadere su una panchina. Ero solo, mio padre e mio fratello non c’erano più. Lo sconforto mi vinse e piansi”.

breve storia di enzo ferrari, il mito dell'uomo dietro al cavallino rampante

Enzo Ferrari

Dopo un lungo pellegrinare, trova nella Carrozzeria Giovannon il luogo giusto dove esprimersi, mentre all’ombra della Mole incontra la sua amata Laura Garello, futura moglie. A quel punto Torino non è più così inospitale. Il compito di Enzo è quello di collaudare gli autotelai ricondizionati e consegnarli alla committente Carrozzeria Italo-Argentina di Milano nel capoluogo lombardo. Diventa così un provetto guidatore. Quando la domanda di ricondizionamenti di autotelai si esaurisce, trova rifugio a Milano nella CMN. A quel punto il passo è breve per saltare a bordo dell’Alfa Romeo.

La nascita della Ferrari che tutti conoscono

Correre per il Biscione è un grande privilegio. Ferrari riesce a togliersi diverse soddisfazioni al volante delle fuoriserie italiane. Quando partecipa al Gran premio del Circuito del Savio, nel 1923, Enzo riesce ad arrivare primo e ottiene una ricompensa molto speciale. In quell’occasione è la contessa Paolina de Biancoli, madre dell’aviatore eroe della Grande Guerra Francesco Baracca, che gli consegna il simbolo che il giovane figlio portava sulla carlinga, un cavallino rampante, con questa raccomandazione: “Ferrari, metta sulle sue macchine il cavallino rampante del mio figliolo. Le porterà fortuna”. Quel disegno tutt’ora rappresenta il sogno e il mito vestito di rosso Ferrari.

Nel 1926 a Enzo vengono conferite le onorificenze di Cavaliere Ufficiale e Commendatore della Corona. Nel 1929, invece, viene richiamato a Milano per fondare una squadra corse collegata all’Alfa Romeo, che sarebbe diventata la sua più orgogliosa creatura. Ferrari convince il grande progettista Vittorio Jano a lasciare la Fiat e approdare alla Ferrari, per realizzare insieme una miriade di sogni. All’epoca Enzo gestisce lo sviluppo delle vetture Alfa e costruisce un team di oltre 40 piloti, tra i quali gli assi sono Antonio Ascari, Giuseppe Campari e Tazio Nuvolari. Ferrari stesso corre fino alla nascita, nel 1932, del figlio Alfredo, detto Dino, che muore in giovane età.

Nel 1947 nasce la Scuderia Ferrari, che vince il suo primo Gran Premio nel 1951 e il titolo mondiale l’anno seguente. L’ascesa del Cavallino Rampante segna la fine della gloria dell’Alfa Romeo in F1: “Quando nel 1951 González su Ferrari, per la prima volta nella storia dei nostri confronti diretti, si lasciò alle spalle la “159” e l’intera squadra dell’Alfa, io piansi di gioia, ma mescolai alle lacrime di entusiasmo anche lacrime di dolore, perché quel giorno pensai: “Io ho ucciso mia madre'”, disse nel 1981.

Una persona, mille vite

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Ferrari

Inutile raccontare tutte le storie che hanno riguardato Enzo e la sua azienda in pista e in strada. La sua leggenda è la miglior testimonianza. Il modenese è stato capace di trasformarsi da pilota a direttore di scuderia sportiva in industriale dell’automobile, sempre con lo stesso piglio, la stessa fame e la medesima capacità di raccogliere successi. Alla domanda se la sua auto da tutti i giorni fosse una Ferrari, rispondeva: “No, purtroppo non me la posso permettere”. Muore il 14 agosto del 1988 a 90 anni, a Modena. “Volevo essere un grande pilota, e non lo sono stato”, rilasciò al giornalista Enzo Biagi. È stato molto di più.

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