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Quel pugno di tank che difenderà l’Italia

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Reuters

L’Italia prosegue la sua corsa agli armamenti per adeguare le dotazioni militari alle lezioni che arrivano dall’Ucraina. Con una serie di investimenti per cercare di tamponare le carenze più urgenti nella situazione della Difesa.

Dopo l’approvazione dei programmi per ricostruire la contraerea – oggi sono rimaste soltanto cinque batterie di missili terra-aria per proteggere l’intero Paese -, adesso è la volta dei mezzi corazzati, completamente dimenticati nello scorso ventennio.

Come ha annunciato Rid-Rivista Italiana Difesa, ieri è stato firmato il contratto per aggiornare i carri armati Ariete, gli unici in servizio nel nostro Paese e considerati superati. All’inizio degli anni Novanta sono stati comprati 200 di questi colossi di produzione nazionale, pesanti oltre 55 tonnellate, senza riuscire ad esportarli. Così sono diventati una sorta di “pezzi unici”, con costi di manutenzione stratosferici.

E poiché nella stagione delle “missioni di pace” la loro funzione è apparsa secondaria – sono stati mandati solo in Iraq per pochi mesi, senza mai entrare in azione – poco alla volta nelle officine dell’Esercito molti tank sono stati “cannibalizzati”, prelevando componenti per garantire il funzionamento degli altri.

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Al momento dell’invasione dell’Ucraina si stimava che meno di 50 fossero ancora operativi. Troppo pochi per affrontare i venti di guerra tornati a soffiare in Europa e rispettare i piani di rischieramento stabiliti dall’Alleanza Atlantica.

Il nuovo contratto affida al consorzio Iveco-Oto Melara (Leonardo) la modernizzazione di 90 Ariete con una spesa di 848 milioni di euro: in pratica, oltre nove milioni per ogni carro. L’armamento resta identico: un cannone da 120 millimetri, lo stesso calibro dei Leopard 2 tedeschi, ma viene aggiunta una mitragliatrice all’esterno della torretta. Le modifiche principali riguardano tre aspetti.

Anzitutto il motore, sostituito con uno più potente da 1500 hp. Poi i sistemi di puntamento del cannone, con visori di ultima generazione e un computer balistico per migliorare la precisione del tiro in movimento anche di notte. Infine gli apparati di comunicazione e scambio di informazioni digitali.

Le consegne cominceranno tra due anni e si concluderanno nel 2029, permettendo di equipaggiare due reggimenti. Nel contratto c’è un’opzione per trasformare successivamente altri 35 Ariete, portando in futuro il numero di tank disponibili a 135: alla fine della Guerra Fredda l’Esercito ne aveva 1.300.

Le direttive stabilite dalla Nato dopo il conflitto ucraino prevedono però che il nostro Paese schieri almeno 250 carri armati e per questo il governo Meloni ha deciso – come comunicato a inizio luglio dal sottosegretario Isabella Rauti – anche di acquistare dalla Germania 133 carri Leopard 2 di nuova costruzione. La commessa deve essere ancora definita nel rispetto dell’iter parlamentare e si stima che richiederà quattro miliardi di euro.

Altrettanti serviranno poi per sostituire 140 “mezzi pioniere” con le versioni del Leopard 2 che gettano ponti metallici sopra gli ostacoli, aprono varchi nei campi minati o sollevano con una gru i veicoli danneggiati. In questo settore però c’è minore fretta, perché l’Esercito sta già revisionando i vecchi Leopard 1 specializzati in questi compiti, in servizio da oltre 40 anni.

Complessivamente, quindi, il nostro Paese investirà più di nove miliardi per ricostituire le forze corazzate. Un impegno considerevole che verrà suddiviso in tante tranche, abbassando l’impatto sul bilancio pubblico ma prolungando i programmi per quasi 15 anni. Con il rischio, già avvenuto in passato, che i mezzi ordinati diventino tecnologicamente superati prima ancora di completarne l’acquisto.

Non va dimenticato che i costosi Leopard 2 sono l’ultima versione di un tank progettato alla fine degli anni Settanta: aggiunte e modifiche hanno portato oggi il peso al record di 67 tonnellate.

Allo stesso tempo, però, non esistono alternative sul mercato: da allora non sono stati realizzati altri modelli di carro armato. Un’arma che dopo il crollo del Muro di Berlino sembrava destinata all’estinzione, tornata invece protagonista della carneficina delle battaglie ucraine.

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