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Ferrari 250 LM – L’ultima regina di Le Mans fatta dal Drake

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Ferrari 250 LM – L’ultima regina di Le Mans fatta dal Drake

La prima volta non si scorda mai. La prima piega sul sellino della moto, aggrappati al papà come se non ci fosse un domani, gli occhi della tua bella quando sei così vicino che va a finire che ti innamori per forza Cose che succedono anche con le macchine: che alla fine sono pur sempre un’emozione, oltre che una locomozione. Come quella della mamma che ti portava all’asilo, o quell’altra del papà per le vacanze. O la tua, con cui sei andato pure sulla Luna e ritorno (almeno a guardare il contachilometri). Per non parlare di quelle dei sogni, formato gigante. Ovvero poster appesi sopra al letto.

Tutta questa premessa per dire: Ferrari 250 LM. Grazie al cavolo, dirai tu. Che ovviamente non puoi sapere che io ho 10 anni meno di lei e che quindi non ho fatto in tempo a vederla correre. O vincere. Non basta, oltre a non averla mai vista in casa, cosa ancora più grave, quando ero bambino non c’era neanche tra le mie macchinine… Insomma, questa bomba sexy di 60 anni fa, fino a quel martedì 18 agosto del 2009, ore 12:54 (e 22 secondi), per me non era mai esistita.

Nella mia vita, l’ultima Ferrari di Ferrari (Enzo) ad aver vinto a Le Mans, insomma la berlinetta derivata dalla 250 P, entra con un colpo di scena da film: in testacoda. Proprio davanti ai miei occhi, che sono imbambolato di fronte a quella giostra ipnotica che è il cavatappi di Laguna Seca, in California.

Insomma, mentre a un palmo dal naso mi passa davanti la storia dell’automobilismo, quasi in ordine alfabetico, dalla A (Austin) alla Z (Zagato). Tra la E e la G, arriva questo gran pezzo di F (Ferrari). Segni particolari? Il numero di gara e basta. Essenza di Pininfarina allo stato puro. La verità è che è talmente bella (la linea, la luce che la disegna, quel sedere felliniano), che non mi accorgo che nel frattempo il pilota, forse inebriato dal cavallino che sta cercando di cavalcare, è entrato male lassù e ha tolto ancor peggio il gas quaggiù. Morale, si gira. Con una colonna sonora di wow intonata da chi (più di me), aveva capito la gravità di quel fenomeno astronomico che stava succedendo sotto i nostri occhi (e a mezzo metro dal muretto).

Molto rumore per nulla. Per fortuna solo tanto fumo (e polvere) e niente botto: il pilota, graziato e trasfigurato, scopre che dio c’è e non ce l’ha con lui. E anche se l’eclissi non è stata totale, il pubblico applaude lo stesso. C’è pure chi ha avuto la prontezza di scattare qualche foto. Come quella che vedi (che è mia).

Dopo queste presentazioni, immaginati la curiosità con cui ho voluto approfondire la sua conoscenza (della macchina, non del pilota). Di lì a un mese torno in Italia e mi chiudo nello studio di mio padre. Scusa, dico, devo vedere una cosa. E mi metto a spulciare tra gli annuari che furono per amici e collaboratori nel mondo di Ferrari. E così scopro che al suo convegno annuale del 1964 (11 gennaio, che era un sabato), al ristorante Fini di Modena, dopo aver imbottito gli invitati con galantina, polpettone etc (debitamente carburati da Lambrusco Riserva Secco, Spumante Brut e Sassolino Toschi), il Drake distribuisce l’album del millenovecentosessantatre in cui la Rossa in questione viene presentata così: Parigi. Ottobre. Fa la sua comparsa ufficiale al Salone dell’automobile la Berlinetta 250/LeMans, direttamente derivata dalla 250/P. E dopo l’ufficialità dell’annuncio, seguono le istruzioni per l’uso: La nuova Berlinetta 250/LeMans, produzione 1964. La macchina per i clienti che amano le competizioni e che ci sanno fare.

Uno slogan che è una profezia, visto che nel 1965, la 250 della scuderia NART di Chinetti taglia il traguardo della corsa della verità, come la chiamava Ferrari, per prima: finita. Quattordici vetture al traguardo su cinquantuno che hanno preso la partenza. Gregory (21), Rodriguez (18) e Boller (27) nella trionfale parata dell’ultimo giro. Salgono con questa a otto le affermazioni Ferrari a Le Mans, di cui sei consecutive negli ultimi anni. Ferrari festeggia, ma non gongola, la Rossa iridata non è della sua Scuderia E la didascalia alla foto che ritrae una bellezza di bianco vestita di fianco alla berlinetta di Maranello appena sbarcata dal piroscafo Raffaello (che si vede sullo sfondo), dice tutto a denti stretti: New York, la vettura NART che ha vinto a Le Mans ritorna sul suolo americano. Chinetti ha voluto solennizzare l’avvenimento. Mancava solo che dicesse la solita americanata

Il segreto di tanto successo? Lo ricorda il campione inglese David Piper, citando Mauro Forghieri: Nello studio e nella successiva messa a punto della Le Mans, che pure nasceva dalla 250 P, non dimenticammo mai di perseguire l’obiettivo di fare una vera GT. Questo grande pregio si trasformava in handicap perché l’auto era diventata, come dire, troppo confortevole, ma aveva anche il grande dono di lasciar fare al pilota tutto quello che voleva; intendo dire che era un mezzo straordinariamente adattabile, andava bene alla Targa Florio come al Nurburgring; cambiavamo i rapporti, ma gli assetti erano sempre quelli, una volta che un pilota imparava la Le Mans non c’erano problemi, non tradiva (Ferrari 250 Le Mans Berlinetta, La Mille Miglia Editrice – 1988).

I numeri fortunati? 12 cilindri a V di 60 gradi, 2.953 poi diventati 3.285,7 cc, sei carburatori doppio corpo verticali, 79 kg di telaio (tubolare a traliccio), 295 km/h di massima. Ma, soprattutto, 1+31. Ovvero gli esemplari costruiti: la numero di telaio 5149 (250 LM) e le altre (275 LM).

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