Una ricerca del Massachusetts Institute of Technology fornisce nuove indicazioni per migliorare la produzione delle celle allo stato solido
Le celle delle batterie si costituiscono di una sostanza, nota come elettrolita, interposta tra catodo e anodo attraverso cui gli ioni di litio viaggiano tra i due elettrodi dove avvengono le reazioni di ossidazione e riduzione. Gli accumulatori allo stato solido sono sprovvisti di elettrolita liquido, con i due elettrodi che sono invece separati da un sottile strato solido di materiale ceramico. Ne risulta una densità di energia maggiore rispetto alle batterie attualmente diffuse sul mercato, ma la loro commercializzazione è ostacolata da diversi limiti tecnologici, tra cui la difficoltà nello sviluppare un processo produttivo su larga scala. Lo scorso novembre tuttavia, il professor Yet Ming-Chiang, Cole Fincher e altri cinque studenti del Massachusetts Institute of Technology e della Brown University hanno pubblicato i risultati di una ricerca che risponde a una domanda a lungo rimasta in sospeso.
Allo stato attuale le celle allo stato solido evidenziano la formazione di dendriti, strutture filiformi di litio metallico che si incuneano attraverso l’elettrolita solido. Il rischio è che tali strutture trapassino interamente il materiale ceramico, mandando in cortocircuito i due elettrodi con conseguenti rischi per l’affidabilità e la sicurezza. Come sia possibile che un materiale duttile come il litio possa penetrare un elettrolita ceramico ad alta durezza è rimasto a lungo un mistero, fino alla scoperta avvenuta al MIT. Cole Fincher ha sviluppato una piccola cella con elettrolita trasparente, così da poter finalmente osservare il meccanismo di formazione che avviene all’interno delle batterie allo stato solido. Contrariamente alle ipotesi, la ricerca ha rivelato che il processo non è di natura chimica, bensì meccanica.
Nei normali processi di scarica e carica della cella, gli ioni di litio viaggiano da un elettrodo all’altro, così che su ciascuno di essi vi sia un ripetuto accumulo e decremento di materiale. Queste continue variazioni di massa provocano inevitabilmente un’espansione e una compressione dei due elettrodi causando delle sollecitazioni meccaniche sull’elettrolita, essendo questo solido e dunque incomprimibile. I minimi difetti nel materiale possono così innescare delle fratture, liberando sottili spazi attraverso cui può incunearsi il litio depositato sull’elettrodo, portando alla formazione dei dendriti. Spiega il professor Chiang: “Affinché questo metallo si depositi sull’elettrodo, deve avvenire un’espansione, perché si sta aggiungendo nuova massa. Pertanto, c’è un incremento di volume sul lato della cella dove il litio si sta depositando. Se un difetto anche microscopico è presente, questo genererà una pressione che può portare alla frattura”.
Batterie: le alternative agli ioni di litio
Nel documento pubblicato dal MIT vengono suggeriti diversi modi per indurre gli stress residui nell’elettrolita solido oltre al semplice metodo meccanico. Si propone ad esempio di dopare il materiale ceramico tramite atomi di materiali differenti, così che vi sia una compressione nell’area circostante. In alternativa, si suggerisce di realizzare l’elettrolita con due materiali con coefficienti di dilatazione termica differenti, così che col raggiungimento delle temperature di esercizio della cella vi sia una deformazione interna. I relatori sono adesso impegnati a realizzare un prototipo funzionale di batteria allo stato solido applicando le recenti scoperte. L’obiettivo tuttavia non è commercializzare quanto scoperto, lasciandone il compito alle industrie del settore.