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WEC | Paradosso Isotta Fraschini: la Tipo-6 meriterebbe di più

Nel WEC c’è un paradosso e si chiama Isotta Fraschini. Il prestigioso marchio milanese tornato quest’anno alle corse con la Tipo-6 LMH Competizione dopo 111 stagioni di silenzio, sta vivendo una situazione incredibile e veramente difficile anche da spiegare.

Il presidente, Alessandro Fassina, ha scelto una strategia coraggiosa per riproporre lo storico brand sul mercato: partire dalle corse per arrivare a portare sulle strade delle Hypercar ultra tecnologiche e prestazionali. Si è deciso di percorrere, quindi, il cammino più complesso e costoso: non si è scelta la classe LMDH che avrebbe consentito di “assemblare” un prototipo al Supermarket del motorsport, comprando telaio, cambio, motore e sospensioni (come hanno fatto Case molto prestigiose come Porsche, BMW, Lamborghini e Cadillac), ma l’ingresso nel Mondiale Endurance è avvenuto dalla porta principale.

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#11 Isotta Fraschini Isotta Fraschini Tipo6-C: Antonio Serravalle, Carl Wattana Bennett, Jean-Karl Vernay

Foto di: Emanuele Clivati | AG Photo

L’abbinamento con la Michelotto Engineering è stato ideale: l’ingegner Luigi Dindo e il suo staff hanno allestito da zero la Tipo-6 LMH Competizione, una vettura LMH che esprime tutte le capacità che il patron Giuliano Michelotto ha saputo mettere insieme nella factory di Padova in mezzo secolo di attività per lo più vissuto in stretta, strettissima collaborazione con la Ferrari.

Michelotto all’improvviso si è trovato “orfano” di Maranello e ha trovato in Isotta Fraschini l’opportunità di dimostrare di poter essere un degno Costruttore, entrando in un mondo difficile come quello del WEC per sfidare proprio Ferrari, Toyota e Peugeot.

Le Hypercar del WEC per ottenere l’omologazione devono sottoporsi a stringenti controlli in galleria del vento e della meccanica che definiscono il BoP (balance of performance): l’obiettivo è quello di pareggiare le prestazioni con spesso astrusi algoritmi.

Nella 6 Ore di Spa-Francorchamps l’Isotta Fraschini si è classificata 15esima nella classifica assoluta a tre giri dalla Porsche 963 vittoriosa del team Penske. Inesorabilmente ultima fra le Hypercar. Ma l’aspetto paradossale è che prima del terzo appuntamento stagionale la Tipo-6 LMH Competizione è stata appesantita arrivando a 1.060 kg, mentre la Ferrari 499P che era in lotta per la vittoria si fermava a 1.053 kg. L’Isotta poteva contare su 520 kW di potenza, aggiungendo 3 MJ di energia per un totale di 923 MJ totali.

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Foto di: JEP / Motorsport Images

I valori attribuiti dalla commissione tecnica fanno pensare che la Tipo 6-C sia una LMH decisamente competitiva dal punto di vista aerodinamico e che la mancanza di risultati non derivi dalla macchina. E, allora, bisogna spostare il focus sulla squadra che ha in gestione l’unica vettura ammessa al campionato, vale a dire il Team Duqueine. La squadra francese è arrivata alla classe regina dopo aver dimostrato di essere ultra competitiva nelle classi inferiori, vantando un’ottima organizzazione che deriva da un Gruppo con sede ad Ales che opera nel settore dei materiali compositi anche nell’aerospazio e nel medicale, oltreché nell’automotive e nella difesa.

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L’equipaggio dell’Isotta Fraschini Tipo 6 LMH-C: Antonio Serravalle, Jean-Karl Vernay, Carl Wattana Bennett

Foto di: Isotta Fraschini

Il punto di caduta, dunque, è quello dei piloti: nell’equipaggio di tre conduttori solo uno può essere considerato di categoria: Jean-Karl Vernay, francese di 36 anni, è un professionista con successi in Indy Lights, Porsche Carrera Cup, 24 Ore di Le Mans con la Porsche LMGTE Am, per non dire in TCR International Series e WTCR Trophy. È un bravo mestierante che ha contribuito allo sviluppo della vettura ed è l’unico a vantare l’indispensabile esperienza, perché gli altri due sono giovanissimi mandati allo sbaraglio.

Carl Wattana Bennet, thailandese-americano di 19 anni, che fa parte della A14 Management (l’accademia di piloti di Fernando Alonso) e Antonio Serravalle, italo-canadese di 21 anni, sono due rookie con poca esperienza che, forse, hanno fatto un salto troppo grande approdando all’Hypercar.

Basta analizzare i tempi per farsene una chiara ragione: se Vernay aveva un passo di 2’11”055 con un miglior giro di 2’09”470, i due compagni di squadra viaggiavano in 2’13”395 (Bennet) e 2’13”827 (Serravalle), prendendo regolarmente due secondi dal transalpino.

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Che senso ha varare un programma molto ambizioso e costoso se poi il team e il marchio non riescono a valorizzare l’impegno e il valore della macchina? Le (giuste) logiche di budget hanno portato il Team Duqueine a scegliere due giovani conduttori dotati di un adeguato supporto economico, ma dopo tre gare disputate e alla vigilia della 24 Ore di Le Mans, diventa fin troppo chiaro che insistere sulla nuovelle vague può essere un rischio mal calcolato.

Isotta Fraschini ha investito circa 40 milioni di euro nel WEC. Vede la Tipo-6 puntualmente “penalizzata” con il BoP perché la vettura è considerata tecnicamente migliore di altre in lizza, ma i risultati in pista alla fine sono deludenti, anche per chi è al debutto nella categoria. Non è corretto gettare la croce su Bennet e Serravalle, che corrono senza effettuare dei test,  ma se si vuole dare un senso alla partecipazione in un campionato professionistico è lecito pensare che ci voglia almeno un pilota di livello che sia in grado di misurare qual è l’effettivo valore del Costruttore e della squadra…

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