Motori

Salone di Parigi – Bentornato sì, arrivederci forse

salone di parigi – bentornato sì, arrivederci forse

Salone di Parigi – Bentornato sì, arrivederci forse

Ero curioso di vedere che effetto avrebbe fatto tornare a un Salone dell’auto a oltre tre anni dall’ultima volta. Per gli addetti ai lavori, i motor show rappresentano molto più di un evento internazionale: sono il metronomo di stagioni che si ripetono ciclicamente, dettano i tempi del movimento motoristico, organizzano i flussi delle novità verso il mercato. Forse dovrei usare i verbi al passato, ché da anni, ormai, le Case hanno svincolato le proprie strategie dal calendario delle fiere internazionali. Tuttavia, la loro mancanza si è fatta sentire in questi anni di pandemia, anche se alcuni, già in epoca pre-Covid, soffrivano per i sempre più numerosi forfait di alcuni marchi automobilistici, chiamati a misurare gli investimenti per affrontare le innumerevoli sfide di quest’epoca transitoria dell’automobile: dall’elettrificazione allo sviluppo dei software di bordo, passando per la guida automatizzata.

Il tempo per riflettere. Coronavirus, transizione energetica, crisi dei chip e poi anche la guerra. Nonostante tutto ciò, i Saloni sono tornati: l’anno scorso quello tedesco (traslocato a Monaco), nel 2022 Detroit e Parigi, aspettando Ginevra (che non è più a Ginevra, ma in Qatar) nel 2023. Un bene per tutti, indubbiamente, giacché le presentazioni virtuali imposte dal distanziamento sociale avevano tolto tutto il gusto di scoprire una nuova auto. Ma avvicinandomi ai cancelli di Porte de Versailles continuavo a chiedermi se questi quattro anni (tanti ne sono passati dal precedente Mondial de l’Auto) di pausa di riflessione forzata avessero portato nuove idee e nuova linfa. Insomma, se avessero portato a ripensare una formula di Salone un po’ stantia, basata su schemi da vecchio mondo dell’auto – già ampiamente superata prima della pandemia – che si invoca da anni. Ebbene, nel caso di Parigi, direi proprio di no.

Ritorno al passato. Varcati i cancelli ho ritrovato l’ancien regime. Un evento macchinoso, trincerato nella rocca dei padiglioni fieristici, popolato da stand più o meno innovativi, più o meno belli e tecnologicamente avanzati, ma sostanzialmente ancorati alla tradizione. Con tanto di lotti occupati da iniziative ed espositori che sanno tanto di riempitivo (ma questo accade in tutte le fiere). Attività esterne non pervenute: l’evento diffuso, di cui tanto si parla, in questo caso non lo era nemmeno all’interno delle proprie mura. Magari verso il weekend qualcosa si smuoverà. Se parliamo dell’organizzazione, poi, fa storcere il naso la cervellotica logica di gestione dei flussi di persone nei padiglioni e tra i padiglioni: qualcosa che ha lasciato interdetto non solo il sottoscritto particolarmente coinvolto nel suo continuo andirivieni tra gli stand e la sala stampa ma anche il pubblico, con il quale sono stato a diretto contatto nella giornata. Senza venir meno alla sicurezza e ai necessari controlli, probabilmente si poteva fare di meglio.

La passione non manca. Ecco, il pubblico è stato, nell’economia del Salone di Parigi come puro evento, la nota più lieta: in un giorno feriale come martedì scorso, aveva già risposto numeroso: buon segno, significa che il cuore batte ancora per l’auto. Ma tanta passione meriterebbe, a mio avviso maggior coinvolgimento e innovazione. Dopotutto, il biglietto d’ingresso non costa poco (30 euro). E il Mondial, oggi come oggi, si riduce a un triangolare tra il gruppo Renault, Stellantis e i costruttori cinesi emergenti che si gioca su tre soli padiglioni. Potrà continuare così?

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