Polestar 2 – Dalla Svezia con stile e cavalli: è sfida alla Tesla Model 3
Gusto scandinavo. Una volta ricostruite le origini della stella del nord che campeggia in punta di cofano (simbolo, tra l’altro, al centro di un contenzioso legale con la Citroën in Francia, perché ritenuto troppo simile al Double Chevron: una vicenda conclusasi, dopo due anni di stop alle vendite, lo scorso settembre con un accordo che permetterà a Polestar di continuare regolarmente le proprie attività commerciali) non sorprendono le similitudini stilistiche tra questa berlina o fastback, come la definisce la Casa – e i recenti modelli Volvo. Le più evidenti riguardano la sagoma della mascherina e il design a martello di Thor delle luci diurne: stilemi estremamente riconoscibili in un look che, nel suo insieme, non difetta certo di personalità. Un design fatto di linee eleganti e al contempo originali, che scongiurano il rischio di un precoce invecchiamento, timbrato dalla firma luminosa rossa al posteriore.
Eco-chic. L’impronta Volvo è evidente anche negli interni. Alcune parti, per esempio il volante, sono riprese praticamente in toto, ma è un tratto comune anche la buona qualità percepita, sia nei materiali, sia negli assemblaggi: le plastiche dure sono infatti riservate solo alle zone più nascoste dell’abitacolo. Detto ciò, l’arredamento della Polestar 2 segue una propria filosofia, ricorrendo a materiali innovativi e proponendo di serie rivestimenti vegani (fatti, cioè, senza ricorrere a prodotti di origine animale), tessuti più leggeri della classica pelle. Chi vuole, comunque, può optare per le più tradizionali sellerie di pelle Nappa.
C’è il “frunk”. Lunga 4,61 metri e con un passo di 2,73, la Polestar 2 offre un discreto spazio a gambe e ginocchia dei passeggeri posteriori, che, se più alti della media, potrebbero casomai desiderare qualche centimetro in più di aria sopra la testa. Il bagagliaio (con doppio fondo) è ben rifinito, offre svariate soluzioni per organizzare il carico (ganci, reti e paratie) e ha una capienza complessiva di 405 litri. Ma la berlina svedese non si carica solo da dietro: sotto il cofano c’è infatti un frunk da 41 litri dove è possibile riporre i cavi per la ricarica e altri oggetti. Parlando di visibilità, invece, il lunotto stretto e inclinato riduce di molto quella posteriore. Per ovviare a questo limite basta la retrocamera (di serie), ma ancora meglio è poter contare sulla telecamera a 360, offerta nel pacchetto integrativo Plus (4.500 euro), che include tra gli altri lo stereo Harman Kardon, i sedili con regolazioni completamente elettriche e il tetto panoramico di vetro (molto ampio). Il pacchetto Pilot Lite (3.000 euro), invece, completa l’assistenza alla guida di serie con ulteriori Adas, tra cui il monitoraggio attivo dell’angolo cieco e il cruise adattivo.
Anteriore, integrale o Performance. E con due tagli di batterie. La gamma si articola in quattro varianti. Si parte dalla Polestar 2 Standard range Single motor (52.200 euro) con batteria da 69 (67 netti) kWh di capacità, autonomia (dichiarata) fino a 470 km Wltp, ricarica fino a 130 kW di potenza e motore da 170 kW e 330 Nm. A parità di motore e cavalli, la Long range Single motor (55.700 euro) sfrutta invece una batteria da 78 (75 netti) kWh, ha 540 km di autonomia e ricarica fino a 155 kW. Dalla trazione anteriore si passa all’integrale con la Long range Dual motor (59.200 euro), con powertrain da 300 kW e 660 Nm, batteria da 78 kWh per una percorrenza massima di circa 480 km e ricarica fino a 155 kW. La bimotore prevede un ulteriore upgrade con il Performance Pack (da 65.700 euro), che tramite un aggiornamento software aggiunge ulteriori 50 kW di potenza (350 totali) e 20 Nm di coppia (680), oltre a caratterizzazioni estetiche (cerchi forgiati da 20” con design specifico, dettagli dorati) e contenuti tecnici esclusivi, come le sospensioni regolabili hlins, i freni Brembo con pinze a quattro pistoni e le gomme Continental SportContact.
Inizio dalla base. Seduto più in alto rispetto a una classica berlina, grazie alle regolazioni completamente elettriche riesco a ritagliarmi una posizione di guida su misura, pur dovendo convivere con un tunnel centrale abbastanza ingombrante. Il mio test drive parte dalla versione d’ingresso, la Standard range Single motor: scattante, con i suoi 230 CV e 330 Nm, ma senza pretese sportive (0-100 km/h in 7,4 secondi e velocità massima autolimitata a 160 km/h). Tra le curve la berlina elettrica si corica poco o nulla, e con un assetto di base rigido ma non fastidioso quando si passa su dossi e buche trasmette un certo dinamismo. Il feeling alla guida è anche parzialmente personalizzabile. Il feedback del servosterzo elettrico, per esempio, può essere tarato su tre livelli di resistenza a seconda della propria sensibilità, senza però modificare il rapporto di sterzata: le risposte al comando sono perciò costanti, omogenee ma non delle più dirette. Anche la guida one pedal, in cui la frenata rigenerativa porta all’arresto completo, è custom: non si regola con la solita levetta ma, al pari dello sterzo, passando per il tablet centrale, scegliendo tra Off (nessun recupero di energia), Basso e Normale. Per Normale si intende il livello più altro di frenata, forse un filo invasivo negli spostamenti urbani, motivo per cui ho per lo più optato per il settaggio Basso. Tra le preferenze selezionabili nella guida c’è anche la Creep Mode: se attivata, permette di avanzare da fermo non appena si rilascia il pedale del freno, come farebbe una vettura automatica tradizionale. Casomai qualcuno avesse nostalgia
Col “pack” c’è più sprint. E non solo… Dopo un’oretta di viaggio (su percorso misto) dò un’occhiata anche ai consumi: 21,4 kWh, dice il computer di bordo, segno che procedendo così con un andazzo non propriamente da economy run – posso contare su un’autonomia di circa 320 km. Come sempre, il tema delle percorrenze lo affronteremo più seriamente a Vairano, con le rilevazioni del Centro Prove. Intanto, balzo all’estremo opposto del listino mi concedo un giro anche con la Long range Dual motor Performance Pack. Che è più libidinosa non solo per l’accelerazione assai più decisa (0-100 in 4,5 secondi) e la punta massima spostata ben più in alto (205 km/h), ma anche la maggiore reattività dell’ hardware, forte di un impianto frenante più performante, molle e barre stabilizzatrici appositamente accordate e, soprattutto, degli ammortizzatori regolabili hlins Dual Flow Valve, che gli impallinati possono settare manualmente in 22 differenti combinazioni. Insomma, una Polestar 2 più affilata che, complici i cerchi da 20” e una gomma dalla spalla più bassa (245/40), naturalmente fa un po’ più la sostenuta quando sfila sul pavé. Il carattere di certo non le manca