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Pietro Frua, matita elegante e maestro di stile

L’epicentro è sempre Torino. La città piemontese, nobile e regale, si lega così intensamente all’automobile che tutte le persone che riempiono le sue vie hanno a che fare, direttamente o indirettamente, con le quattro ruote. Sotto l’ombra della Mole si sviluppano due colossi dell’industria italiana a motore, Fiat e Lancia, ma soprattutto hanno proliferato delle carrozzerie che, in breve tempo, diventano le firme di punta dell’automobilismo nostrano e internazionale. Una di quest’ultime è la Carrozzeria Farina, fondata dai tre fratelli Battista, Pinin e Carlo. Pietro Frua nasce nel capoluogo piemontese tre anni dopo la costituzione della Farina, nel 1913, ma ben presto le due strade si uniranno.

Sotto la stella della Fiat

Sopra alla testa della famiglia Frua si erge l’ala della Fiat, il più grosso titano dell’automobile italiana, che seppur ancora giovane ha già spiccato il volo. Il padre di Pietro è un operaio negli stabilimenti di Corso Dante, a casa si masticano motori a pranzo e a cena, il rombo delle auto è motivo di conversazione anche con la madre, una sarta, mentre la linea delle quattro ruote diventa motivo di vita e fonte di ispirazione. Il giovane Pietro Frua, quando è tempo di prendere le responsabilità e di tracciare un sentiero nella propria esistenza, inizia a frequentare la Scuola allievi Fiat che porta a termine con profitto, diplomandosi senza troppa fatica. Ed è qui che la storia di Frua si allaccia con Farina, che lo ingaggia dopo il diploma per conferirgli il ruolo di designer tecnico. Ha appena diciassette anni, mentre dall’altra parte Pinin si getta a capofitto in un’avventura che sarà leggenda: la Pininfarina. Le due personalità si trovano a proprio agio, costruendo un binomio di successo.

Il sodalizio con Pininfarina

Sono gli anni Trenta, la Pininfarina si mette in mostra con delle creazioni sensazionali, piene di fascino, carisma e cura del dettaglio. In breve tempo le auto che indossano la firma di questa carrozzeria diventano le regine delle esposizioni, dei saloni e tutte le desiderano. L’atelier torinese fa la fortuna dell’Alfa Romeo, della Lancia, della Fiat e dell’Isotta Fraschini. Nel 1932, lo stesso Guglielmo Marconi si fa produrre una macchina esclusiva dalla Pininfarina. Una delle matite che spicca più delle altre è proprio quella di Frua, inconfondibile, grazie ai suoi tratteggiamenti solidi, decisi ed eleganti. Nel 1935, a soli trentadue anni, Pietro diventa Direttore dello Stile degli Stabilimenti Farina. Sono anni d’oro, in cui si può sognare a occhi aperti e accorgersi che la realtà è meglio della fantasia. Al fianco di Frua arriva anche Giovanni Michelotti, suo allievo e uomo di estremo talento. La creativa prende il sopravvento su tutto, negli uffici torinesi si respira a pieni polmoni la dinamicità e la vivacità. Si disegna, si crea e si sfornano capolavori. Nel 1938, però, Frua crede di aver dato tutto per la causa, mentre le ambizioni personali lo spingono a prendere un’altra strada. Dunque, cede il proprio posto a Michelotti e si mette in proprio.

Frua diventa indipendente

Alle porte però arrivano tamburi di guerra che si convertono in un conflitto che manda al macero desideri e affermazioni. La Seconda Guerra Mondiale coinvolge in prima persona l’Italia, che ne esce sconfitta, ferita e ricca di cicatrici. Bisogna ricostruire dalla macerie, bisogna risorgere e far tornare in alto il tessuto industriale del Paese. Anche per Frua gli affari procedono a rilento, poi, il talento prevale e la sua firma torna ai primi posti dell’automobilismo internazionale. Si lega prima alla Fiat per la quale, nel 1946, propone la 1100 C, una spider che ottiene il secondo posto al concorso d’eleganza di Villa d’Este. Poi, alla porta del designer torinese bussa la Maserati. Con il Tridente nascerà un matrimonio ricco e prospero, che darà la spinta giusta al marchio modenese per imporsi a ogni latitudine mondiale. Parte del successo e della notorietà del lussuoso brand emiliano derivano dalla mente e dalla mano di Frua. Il primo esempio di questo successo è la Maserati A6G/54 Coupé del 1955, una filante vettura sportiva da 2 litri e 6 cilindri. In seguito arrivano anche le leggendarie Mistral, Quattroporte e Kyalami, modelli che sono scolpiti nella storia di Maserati come totem da venerare eternamente.

pietro frua, matita elegante e maestro di stile

Maserati Quattroporte, guarda la gallery 17

Stile italiano all’estero

Frua si lega anche alla carrozzeria Ghia, con la quale produce alcune vetture di estrema fortuna, come la Renault Floride o la Ghia-Aigle. Il geniale disegnatore torinese si fa sedurre anche da altri marchi esteri: non a caso il suo stile memorabile dona alla Volvo P1800 un fascino senza tempo. Negli anni Sessanta, il nome di Frua è sulla bocca di tutti, perché è in grado di coniugare l’eleganza e la raffinatezza italiana, con le esigenze degli automobilisti. È versatile, estroso e pragmatico. Questo piace ai tedeschi che gli affidano la Glas 2600 V8 della Hans Glas, che in molti chiameranno “Glaserati”, e la BMW GT. Lascia il segno anche in America con la Chrysler, motorizzata Monteverdi, Highspeed 375S e con la AC428, della AC Cars.

pietro frua, matita elegante e maestro di stile

Volvo P1800

Negli anni Settanta la sua produttività non si arresta e nel 1978 firma il suo ultimo capolavoro: la Lamborghini Frua Faena. Si tratta di un prototipo costruito con una cilindrata di 4000 cc, in grado di raggiungere una velocità massima 243 Km/h. Nel 1982 al brillante torinese viene diagnosticato un tumore maligno, a causa del quale muore l’anno seguente all’ospedale delle Molinette, nella sua città natale.

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