Mauro Forghieri, il ricordo di Paolo Ciccarone dell’ingegnere scomparso oggi
Fra la prima sessione di prove del GP del Giappone, finita alle due di notte, e la seconda, che deve partire alle quattro, qualcuno cerca di non addormentarsi, altri leggono i giornali. Appena arriva la segretaria con i vassoi dei pasticcini, si sente una voce: “Mo da qua che mi serve una cosa”. È Mauro Forghieri che si catapulta come una fionda verso quel vassoio. Afferra un bignè al cioccolato, toglie il tovagliolo e si siede in un angolo.
“Vien mo qua che devo fare una cosa” mi dice. Dieci anni prima, seduto su una cassa di attrezzi nel retro box di Kyalami, la stessa scena. Il vostro cronista col taccuino in mano, lui pasticcino in una e matita nell’altra con dei fogli e dei numeri. Erano i primi dati parziali che la TAG Heuer, responsabile del cronometraggio, distribuiva alla stampa. T1, T2, T3, S1, S2 S3, numeri, sigle, cifre. Erano i parziali dei vari settori della pista, divisa in tre parti. Da un lato, i T, i tempi al millesimo di ogni pilota; dall’altro, le S, le velocità nel tratto di uscita. Lui, l’ingegner Forghieri, responsabile motori Lamborghini, piglia la sua matita e comincia a segnare: “Vedi? Qua ha una velocità alta, ma lì ha un tempo basso rispetto agli altri. Vuol dire che ha scaricato la macchina e quindi ha perso carico dove serviva per fare il tempo, la controprova sul rettilineo dove serve accelerazione ed è più lento degli altri. Hai capito?”. E così a spiegare i perché di un risultato in pista, al di là delle parole del team o del pilota che provavano a nascondere la verità. “Leggi mo i numeri, così non ti sbagli”. E gara dopo gara, Forghieri come maestro di comprensione della F.1. Dieci anni dopo, sempre con quel tovagliolo in mano e un regolo calcolatore nell’altra, scarabocchi, disegni, numeri, cifre, e lui assorto. “Ma c’è qui la calcolatrice, non fa prima a usare questa?”. “No, perché mi servono numeri infiniti e quella roba là è troppo superficiale”. Dopo un’oretta così e noi attorno per capire cosa stesse facendo. Poi l’urlo liberatore.
Con la sua scomparsa viene a mancare l’ultimo tassello della Ferrari del tempo che fu, quella del commendatore e dei grandi piloti che hanno scritto pagine di storia della Scuderia. Aveva 87 anni ed era malato da tempo, ma nonostante l’infermità e le cure, l’ingegnere, come veniva ancora chiamato da tutti, era sempre attivo: nel commentare i risultati dei GP o per divagazioni storiche inerenti il mondo dei gran premi. Dopo aver vinto 7 titoli mondiali con la Ferrari, ci fu il divorzio e il passaggio ad altre Case, come Bugatti e Lamborghini, dove ideò e costruì un motore V12 per la F.1 che Ayrton Senna, dopo averlo provato, voleva assolutamente sulla sua McLaren.
Solo che all’epoca il marchio apparteneva a Chrysler e gli accordi per la F.1 svanirono presto per mancanza di interesse del colosso americano. Con Forghieri si chiude una pagina di tecnici innovativi e completi. Nella F.1 moderna, infatti, non c’è nessun tecnico capace di progettare interamente una vettura. Se Adrian Newey, il capo progetto Red Bull, è considerato il genio attuale, per Forghieri bisognerebbe inventare un aggettivo nuovo. Perché al contrario di Newey, sapeva progettare tutto: motore, cambio, telaio, sospensioni e aerodinamica. Un tecnico a tutto tondo frutto di un’epoca in cui bisognava essere completi. Era un innovatore, rivoluzionario sotto certi aspetti, uno vero.
In collaborazione con Automoto.it