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L'esempio coreano per ridurre la dipendenza dalle materie prime cinesi

Il riciclo delle batterie è diventato in Sud Corea un business con enormi prospettive (economiche e sostenibili)

l'esempio coreano per ridurre la dipendenza dalle materie prime cinesi

Del tema se n’è parlato anche durante la campagna elettorale italiana di queste settimane, culminata con la vittoria schiacciante del centrodestra e, in particolare, di Fratelli d’Italia e Giorgia Meloni: fare all-in sull’elettrico significa condannare l’Europa alla dipendenza dalle materie prime “cinesi”?

Assolutamente no, ma bisogna giocarsi bene le proprie carte, magari studiando e imitando le esperienze di altre regioni. Un esempio arriva dalla Corea del Sud, dove si è partiti a tutta velocità sul riciclo delle batterie. Un business che sta fiorendo e che promette moltissimo.

Crescita a vista d’occhio

Il Paese, come sappiamo, ospita tre dei principali produttori di accumulatori al mondo: Lg Energy Solutions, Samsung e Sk On. Una circostanza che dà facile accesso alle celle a fine vita, per chi è interessato ad acquistarle e dare loro una seconda occasione.

Si potrebbero definire “miniere urbane” quelle che stanno nascendo nella zona, forti di una domanda in rapidissima crescita: l’istituto di ricerca SNE Research prevede che il mercato globale del riciclo, con un valore di 400 miliardi di won nel 2020 (291,6 milioni di euro), raggiungerà i 21 trilioni di won nel 2030 (15,3 miliardi di euro).

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Qualcuno triplica

C’è fiducia, tanto che il valore delle azioni di SungEel HiTech e della rivale Sebit Chem – principali player del settore – è più che triplicato dopo le quotazioni in Borsa, avvenute rispettivamente a fine luglio e inizio agosto.

Fondata nel 2000 e con un’ampia esperienza in materia, SungEel HiTech pensa di riuscire a moltiplicare per 3 la propria capacità produttiva entro il 2024. L’azienda vanta già 9 impianti nel mondo, sparsi fra Corea del Sud, Cina, India, Malesia ed Europa orientale.

“La domanda di riciclo delle batterie sta crescendo rapidamente, perché l’ambiente, la società e la politica lo chiedono”, spiega un dirigente al Financial Times. “Dobbiamo costruire un nuovo impianto quest’anno per soddisfare l’aumento della richiesta”.

I segreti del successo

Ma cosa fa da traino a questo business? Per cominciare, l’interesse di tutti a rendersi il meno dipendenti possibile dalle importazioni da Cina, Congo e altri Stati, soprattutto ora che i prezzi stanno salendo. Litio, nichel, cobalto e altri minerali resteranno “in casa”, una volta arrivati.

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In secondo luogo, ci sono le nuove normative europee e statunitensi, come l’Inflation Reduction Act, che puntano a riciclo e nuovi progetti minerari per accelerare la corsa dell’auto elettrica. Sono tante le aziende che preparano piani di espansione per sfruttare le condizioni favorevoli di altre realtà.

Chi ci crede

Sk On, per dirne una, ha già lanciato una joint venture con Ford da 7,8 miliardi di dollari (8 miliardi di euro) per costruire 3 impianti in Usa. A maggio, Hyundai ha annunciato un investimento di 5,5 miliardi di dollari (5,7 miliardi di euro) in Georgia, mentre Lg Energy Solutions si è alleata con General Motors per sbarcare in Michigan. Costo dell’operazione, 2,6 miliardi di dollari (2,7 miliardi di euro).

Ora gli analisti si aspettano che le aziende sudcoreane continuino gradualmente la loro espansione, con l’obiettivo di avvicinarsi sempre di più ai produttori di batterie e mettere mano alle materie prime del futuro, per non lasciarle più.

Lontane dai confini troveranno però la concorrenza degli operatori occidentali, come Li-Cycle, sostenuto da Glencore, e Redwood Materials, creata dal cofondatore di Tesla, JB Straubel. Intanto, però, Italia ed Europa sanno dove guardare per trovare un modello da seguire.

Fonte: Financial Times

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