Ferruccio Lamborghinitra la Jarama e un trattore della serie R
Prima c’erano state crisi anche gravi – come il crollo di Wall Street del ’29 e l’arrivo del sonoro un paio di anni prima – ma si trattava di malattie esantematiche legate alla crescita, anche se furono capaci di mandare a gambe all’aria parecchie case automobilistiche e cancellare divi che non seppero rinnovarsi. Tocca dire che le guerre – orrende e detestabili – furono anche occasione per risollevare le industrie boccheggianti grazie alle commesse militari e, per quel che riguarda il cinema, per rispondere alla fame di evasione, speranze e sogni di tranquillità degli spettatori di tutto il mondo angosciati dai conflitti.
Vorrei raccontare di due industriali appassionati, due uomini che più diversi non si potrebbero immaginare ma simili nel carattere e – benché appartenenti a generazioni, nazioni ed estrazioni diverse – dominati dalla stessa implacabile energia. Si tratta di Sir David Brown (Huddersfield, 1904 – Principato di Monaco, 1993) e di Ferruccio Lamborghini (Renazzo, 1916 – Castiglione del Lago, 1993), venuti al mondo a distanza di vent’anni e mancati contemporaneamente dopo essersi ritirati dall’attività.
La David Brown Engineering Limited era stata fondata dal nonno (si chiamava anche lui David Brown) e si era specializzata in ingranaggi e commesse militari che l’avevano smisuratamente ingrandita. Alla morte del padre Percy nel 1931, il venticinquenne David assunse il comando della società e diede vita alla costruzione di trattori che ne divenne il core business. Nel 1947 David Brown acquistò la Aston Martin (per 20.500 sterline!) e l’anno dopo la Lagonda, altra marca leggendaria (la pagò un po’ più cara: 52.500 sterline). Nel 1955 si assicurò anche la carrozzeria Tickford, rendendosi così del tutto indipendente, e chiamò a sé alcuni eccezionali collaboratori: il direttore generale John Wyer, il progettista Harold Beach, l’ingegnere polacco Tadek Marek (che aveva lavorato in Fiat, General Motors e Austin) per i motori, l’austriaco Eberan von Eberhost (ex-Auto Union) per i telai, il designer Frank Feeley (che aveva dato forma alle Rapier da record di sir Malcolm Campbell) per lo stile, affiancandoli al veterano Claude Hill.
Con questo parterre de rois darà l’avvio a una serie di vetture che saranno il suo fiore all’occhiello tanto da portare iscritte nello stemma le sue iniziali, DB circondate dalla rosa bianca dello Yorkshire e da quella rossa del Lancashire. Le varie serie DB – celeberrima la DB5 di James Bond – continuano a essere prodotte tutt’oggi in mirabolanti desiderabili reincarnazioni.
Radunati i migliori tecnici dell’epoca – geni come Giotto Bizzarrini per il motore, Gian Paolo Dallara e Paolo Stanzani per il telaio, Franco Scaglione per la carrozzeria – Ferruccio Lamborghini fu in grado di presentare al Salone di Torino del 1963 la sua prima 350 GT. Sarà tuttavia nel 1966 che scoppierà la rivoluzione con la mirabolante Miura, l’auto che rivolterà tutte le consuetudini del segmento: motore 12 cilindri disposto in posizione centrale-trasversale, cambio in blocco nel basamento, linea avveniristica e stupenda (opera di Marcello Gandini, capo designer della Bertone). La Miura farà ingiallire di colpo tutte le altre e il suo clamoroso
Entrambi hanno dovuto ritirarsi dalle loro aziende. Brown ricavandone un utile notevole, anche se in seguito la marca dovrà fare i conti con mille difficoltà, Lamborghini perché queste difficoltà le ha incontrate da subito, con gran gioia dei rivali che mal tolleravano il suo carattere fumantino.
A distanza di trent’anni esatti dalla loro morte, queste aziende godono invece di ottima salute e impinguano di utili i loro acquirenti finali: per l’Aston Martin il magnate canadese Lawrence Stroll, l’industriale farmaceutico svizzero Ernesto Bertarelli e la Mercedes-Amg Petronas Motorsport, mentre la Lamborghini è saldamente in mano all’Audi. Chissà come saranno compiaciuti i loro creatori mentre, al volante dei rispettivi bolidi, rivaleggiano lassù nei grandi pascoli del cielo.