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La Mercedes 190 compie 40 anni: da berlina a sportiva DTM

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La Mercedes 190 compie 40 anni: da berlina a sportiva DTM

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La “Baby-Benz” compie 40 anni. Nota come “190” e “190 E”, la serie W201 fece il suo debutto l’8 dicembre 1982 come nuova serie più compatta nella gamma Mercedes, subito al di sotto delle berline full-size e medie superiori. Di fatto, fu lei a creare uno spazio in gamma per quella che sarà la sua erede, l’odierna Classe C.

Ancora oggi, dopo 40 anni di storia, la 190 appare moderna nel design e nelle dotazioni rispetto alla sua epoca, e pur essendo stata il modello base della Stella a Tre Punte – da cui nacque il soprannome di “Baby-Benz” – è divenuta un classico popolare per il suo comfort di viaggio e la sua affidabilità, oltre ad alcune versioni sportive che gareggiarono anche nel campionato tedesco DTM. Ripercorriamo i punti salienti della sua storia, durata 11 anni.

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Gli albori e il lancio sul mercato

Partiamo subito con un piccolo vanto patriottico: il design è firmato dalla matita di un italiano. Per l’esattezza Bruno Sacco, particolarmente noto per la sua lunga collaborazione con la Casa di Stoccarda, che dal 1975 fu a capo del Centro Stile Mercedes.

Ma facciamo un piccolo balzo indietro al 1973, anno (tristemente) noto per la crisi petrolifera ed energetica. Mercedes si trovava davanti a una particolare situazione strategica, rispetto alle sue concorrenti dirette: Audi con la neonata 80 e BMW con la 02 prima e la Serie 3 subito dopo si posizionavano un gradino al di sotto della Mercedes più economica dell’epoca, la W123, e riscuotevano un buon successo commerciale. Motivo per cui i vertici di Daimler-Benz iniziarono a pensare ad un completamento della propria gamma verticalmente “verso il basso”, per garantirsi una certa competitività.

Per qualche motivo l’idea venne rimandata fino al 1976, quando finalmente Daimler stanziò un’ingente quantità di fondi per lo sviluppo di una berlina di fascia medio-alta capace di competere con le rivali, e nel corso dei due anni successivi il team di Bruno Sacco delineò le forme fondamentali del modello W201.

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Poi, l’8 dicembre 1982, la Mercedes 190 fece il suo debutto ufficiale e segnò un punto di rottura col passato. Pur ispirandosi parzialmente alla W126 (presentata tre anni prima, nel 1979), se ne distaccava per l’uso di linee più tese e affilate, con tagli netti e superfici spigolose particolarmente evidenziate. Senza dimenticare una forte riduzione delle cromature sul corpo vettura, limitate alla stilisticamente tradizionale calandra. Il coefficiente di penetrazione aerodinamica (Cx) segnava un notevole 0,32.

Solo l’interno, benché dallo stile molto moderno, fu meno “coraggioso” e non si distinse eccessivamente dalle concorrenti o dal disegno generale delle altre Mercedes. Principalmente, a riscuotere meno consensi, furono la capacità del bagagliaio inferiore alle rivali di dimensioni paragonabili e gli allestimenti semplificati. Eppure, nel complesso, la 190 fu una vettura capace di attirare parecchia attenzione fin dal suo lancio per tutti coloro che avrebbero voluto approcciare al mondo della Stella a Tre Punte con una rispettosa berlina a tre volumi appena un gradino al di sotto della W126.

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Meccanica all’avanguardia

Non fu solo lo stile a colpire, ma anche alcune chicche a livello ingegneristico. Se da un lato l’impostazione generale era la classica di Mercedes – con motore anteriore longitudinale e trazione posteriore, avantreno MacPherson, sterzo a circolazione di sfere, freni a disco su tutte e quattro le ruote e cambio manuale a quattro o cinque rapporti con optional per l’automatico a quattro marce – riuscì a distinguersi per vari contenuti altamente tecnologici per l’epoca.

La nuova vettura presentava una scocca con l’uso di acciai altoresistenziali nelle zone soggette a maggiori sollecitazioni, di lamiere galvanizzate anticorrosione per la carrozzeria e, soprattutto, di un inedito sistema sospensivo sul retrotreno: ruote indipendenti con bracci oscillanti ancorati alla scocca mediante cinque braccetti. Un sistema altamente avveniristico per l’epoca e tutt’oggi sinonimo di handling sopraffino ai vertici della tecnica. Sì, perché quello della Mercedes 190 fu il primo sistema Multilink che ancora oggi viene ospitato da molte sportive. E sulla berlina del 1982 garantivano una miglior stabilità del veicolo rispetto agli schemi tradizionali, consentendo una taratura di molle e sospensioni meno rigida – tutto a favore del comfort – senza minare le capacità dinamiche della vettura.

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La gamma originaria della Baby-Benz prevedeva due motori monoalbero a benzina da 2.0 litri, uno a carburatore (190) da 90 CV e uno a iniezione elettronica (190 E) da 122 CV, abbinabili come detto poc’anzi a un cambio manuale a 4 marce con la possibilità di selezionare a pagamento un manuale 5 marce o un automatico a 4 rapporti.

E trattandosi di Mercedes, non mancavano le tradizionali attenzioni alla sicurezza degli occupanti – motivo per cui trovavano posto ampie proporzioni di scocca a deformazione differenziata, abitacolo rinforzato e, come optional, il sistema di frenata anti-bloccaggio delle ruote (ABS).

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L’evoluzione della gamma motori

Nonostante un prezzo non propriamente economico e l’assenza di una quinta marcia di serie (quasi tutti gli acquirenti la richiesero con l’optional del cinque rapporti), la 190 ottenne un buon successo e ciò portò Mercedes ad ampliare la gamma quasi fin da subito.

Nel 1983 venne presentata la 190 D, mossa da un 2.0L Diesel aspirato ad iniezione da 72 CV (in America invece arriverà un motore diesel esclusivo per quel mercato da 2.2L e pari potenza), e la più sportiva 190 E 2.3-16. Questa versione, progenitrice di una piccola serie di modelli stradali ad alte prestazioni che godranno di buoni successi nelle competizioni sportive, riuscì a trainare le vendite della 190 verso ottimi risultati. Fu proprio questa variante sportiva che portò BMW a voler competere con Mercedes anche su questo fronte e dar vita alla M3 a metà Anni ’80.

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La 190 E 2.3-16 godeva di un 2.3L quattro cilindri a sedici valvole capce di erogare 185 CV, per una velocità massima di ben 230 km/h. E di certo non fecero nulla per nascondere questi numeri, anzi: all’esterno trovavano posto paraurti in tinta con evidenti spoiler, bande laterali, cerchi in lega leggera, pneumatici maggiorati, alettone posteriore e parafanghi allargati, mentre all’interno la configurazione era a quattro posti con sedili sportivi avvolgenti.

Nel corso del 1984 la 190 a carburatore venne portata a 105 CV, mentre l’anno successivo arrivò una nuova versione a gasolio, la 190 D 2.5 mossa da un cinque cilindri aspirato monoalbero da 90 CV e cambio manuale a cinque marce di serie. Per il mercato Americano questo stesso motore arrivò turbocompresso con la 190 D 2.5 Turbo, capace di 122 CV e ABS di serie, che nel mercato europeo venne proposto due anni dopo.

La gamma motori poi vide un’altra evoluzione nel 1986, con le varianti 2.3 E e 2.6 E: la prima era una quattro cilindri a iniezione monoalbero da 136 CV, mentre la seconda una sei cilindri in linea monoalbero a iniezione da 160 CV, entrambe con cambio manuale a cinque marce e ABS di serie.

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Le due “Evolution”, il successo nel DTM e la fine carriera

Con la seconda serie del 1988 arrivarono novità estetiche sia per gli interni sia per gli interni, mentre la gamma motori rimase sostanzialmente invariata, benché (finalmente) il cambio a cinque marce divenne di serie insieme all’ABS per tutte le 190. Le 2.0L benzina erano dotate anche di marmitta catalitica.

Eppure è proprio qui che inizia la carriera della storica “Evolution”: inizialmente il 2.3L venne portato a 2.5L (2.498cc) per erogare 204 CV, ma nel 1989 al Salone di Ginevra venne presentata un’altra 2,5 litri che in realtà poco aveva a vedere con il motore precedente. Si chiamava 190 E 2.5-16 Evolution ed era dotata di un nuovissimo 2.5L (2.463cc) ad aspirazione naturale concepito per una maggiore solidità e capacità di sopportare le sollecitazioni di elaborazioni sportive più adatte alle competizioni. La potenza della versione stradale rimaneva a 204 CV per una velocità massima di 235 km/h nella variante non catalizzata, e godeva di chicche stilistiche tutt’altro che comuni per l’epoca su una berlina di questo genere: passaruota allargati, pneumatici maggiorati e un grande alettone posteriore facevano da padroni sul design.

La 2.5-16 Evo ottenne l’omologazione nel Gruppo A del Campionato Tedesco Turismo (DTM) grazie a 502 esemplari stradali prodotti – due in più del minimo necessario – e nella stagione 1990 terminò con un terzo posto e un quinto posto.

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La seconda evoluzione del modello, chiamata per l’appunto 190 E 2.5-16 Evo II, venne introdotta nel 1989 e dallo stesso 2.5L aspirato riusciva a generare 235 CV a 7.200 rpm nella variante stradale. L’accelerazione da 0 a 100 km/h veniva coperta in 7,1 secondi e la velocità massima qui toccava i 250 km/h, un valore di spicco per il periodo a cavallo fra Anni ’80 e Anni ’90 per una vettura di questo genere. Fu questo modello finale a garantirsi i maggiori successi nel DTM: un secondo posto nel 1991, ma soprattutto una “tripletta” nel DTM 1992 con un primo, un secondo e un terzo posto (e anche un quinto, per la precisione) occupati dalle Mercedes 190 E 2.5-16 Evo II.

La carriera della Mercedes 190 terminò l’anno successivo, nel 1993, cedendo il posto alla primissima generazione di Classe C, con un ammontare di oltre 1.8 milioni di esemplari prodotti in 11 anni di storia.

In collaborazione con Automoto.it

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