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La marcia dei 10mila contro Stellantis

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La marcia dei 10mila contro Stellantis

Dalla marcia dei 40.000 (quadri) del 1980 alla marcia del 10-12.000 (operai, ma anche quadri e altri) del 2024. Al centro ci sono sempre Torino e le storiche attività industriali legate all’auto. E se quella del 14 ottobre 1980 fu una manifestazione antisindacale con migliaia tra dirigenti, impiegati e quadri della Fiat sfilare sotto la Mole contro i picchettaggi no-stop davanti a Mirafiori, ieri, 44 anni dopo, a manifestare al fianco dei sindacati uniti (Fim, Fiom, Uilm, Fismic, UglM e Aqcf) e le tute bianche di Stellantis, erano anche i quadri, le istituzioni e la Curia.

Un evento che lascerà sicuramente il segno: tutti uniti, non più come nel 1980, per salvare e rilanciare quella che è sempre stata denominata come la capitale italiana dell’auto e, più in generale, la produzione nel Paese.

«Per noi – spiega Giovanni Serra, segretario generale dell’Associazione Quadri – è la seconda volta che scendiamo in piazza dopo la marcia dei 40mila di 44 anni fa. Dunque, un’occasione storica che mi fa dire che simbolicamente in questa piazza siamo in 41mila. Siamo qui per dire che ci siamo: per le aziende del territorio che non lasciano andare un patrimonio importante fatto di capitale umano e per chiedere che la produzione automobilistica continui a Torino e in Italia».

Nel mirino ci sono i vertici di Stellantis la cui strategia per l’Italia continua a non essere chiara e definita, nonostante le rassicurazioni dell’ad Carlos Tavares. A parlare sono infatti i numeri: da 51.300 dipendenti nel 2021, anno della nascita di Stellantis, il dato di gennaio fissava gli addetti a 42.700. Senza contare le uscite incentivate in corso e riguardanti i vari impianti: oltre 3.700 a oggi.

Nel mentre, secondo le rilevazioni Fim, nei primi tre mesi del 2024 la produzione è scesa di quasi il 10%. Il punto centrale è che in Italia, Mirafiori in testa, mancano nuovi modelli. Indicativa, in proposito, la volontà di allungare le produzioni di Fiat Panda a Pomigliano d’Arco (addirittura fino al 2030), ma anche di Fiat 500X (addio posticipato al 2025) e Jeep Renegade (stop nel 2026) a Melfi. Torino-Mirafiori, che si regge con fatica sulla Fiat 500 elettrica (i 100 milioni messi sul tavolo da Tavares per rendere più economico questo modello arrivano tardi), punta a 200mila auto prodotte. Un’utopia allo stato attuale (-51% le auto sfornate tra gennaio e marzo: 12.680 unità rispetto alle 25.900 del periodo analogo 2023).

«Vogliamo aumentare del 30% gli attuali volumi produttivi, sappiamo cosa si deve fare. Se non ascolteranno questa piazza, sarà un’onda lunga», le parole di Ferdinando Uliano (Fim). «Tavares, anziché minacciare di chiudere stabilimenti se arriveranno i cinesi, faccia una scelta chiara: riapra Grugliasco e riporti qui produzioni; è stato un suicidio chiudere l’impianto», puntualizza Rocco Palombella (Uilm). E Michele De Palma (Fiom): «Vogliamo una trattativa vera e la vogliamo a Palazzo Chigi, basta con le schermaglie tv». Sulle minacce di Tavares di intervenire sui siti italiani se dovesse approdare in Italia un costruttore cinese, il ministro Antonio Tajani è stato chiaro: «Le prossime saranno settimane importanti per decidere sulla possibilità che un altro gruppo, forse cinese, venga a produrre qui».

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