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Jon Ekerold, scomodo campione del mondo

jon ekerold, scomodo campione del mondo

Jon Ekerold, scomodo campione del mondo

Jackie Stewart era un ometto arrogante e presuntuoso, Barry Sheene un opportunista interessato soltanto alla sua immagine pubblica, Kork Ballington sulla Kawasaki 350 nel ’79 usava benzina illegale, l’esperienza con la Cagiva 500 nell’83 fu una delle più deludenti della sua vita. E’ sempre stato un personaggio rude, il sudafricano Jon Ekerold, e nella sua autobiografia, titolata “il privato”, non fa sconti a nessuno. Anche per questo il suo libro è tutto da leggere.

Jon oggi ha settantasei anni e nell’80 ha vinto, appunto da privato, il titolo mondiale della classe 350 con la YB3 Bimota-Yamaha. Prima Bimota (“Massimo Tamburini era un genio e una gran persona”) e solo dopo Yamaha che non gli diede alcun aiuto. Bisogna ricordare che alla metà degli anni Settanta, quando Jon arrivò in Europa per correre nel mondiale, in Sudafrica vigeva l’apartheid, l’odiosa segregazione razziale istituita dal ’48. Gli sportivi di quel Paese erano poco graditi e spesso respinti, e così Jon addebita alla politica il disinteresse delle case motociclistiche nei suoi confronti. Di fatto era veloce, era un razzo nelle partenze a spinta, ma non gli bastò neppure il titolo per ottenere l’ingaggio in una squadra ufficiale. Anche il carattere probabilmente non lo aiutò: odiava i compromessi.

La lettura è molto interessante: Jon arrivò solo e senza un soldo, il continental circus degli anni Settanta era povero di mezzi e viveva di amicizia e di solidarietà; Ekerold, cognato di Alan North, legò con molti piloti europei come Chas Mortimer, Tom Herron, i tre olandesi e molti francesi. Con gli italiani legò meno: Ekerold ricorda con piacere soltanto Mario Lega, “ottimo campione e uomo molto simpatico”. Le corse al risparmio della 250 e della 350, spesso senza nemmeno un meccanico ad aiutare il pilota, i protagonisti di allora, le moto a due tempi e le frequenti rotture meccaniche, gli incidenti e le dure conseguenze: tutto è raccontato nei dettagli più nascosti, con mille scoperte che scaldano il cuore dell’appassionato.

Il tema della pericolosità di molte piste è risolto davvero bene, e Jon se la prende con la FIM di allora, che “trattava i piloti privati con disprezzo ed era in combutta con gli organizzatori, che si riempivano le tasche alle spalle dei piloti”. Condivido da sempre questa opinione. Ma anche parte della stampa specializzata lo deluse, per incompetenza o per stupidità.

Ed ecco Sheene, che “badava solo ai suoi interessi” e condizionava furbescamente i giornalisti, e la feroce critica a Jackie Stewart: “Dice che è stato lui -scrive Jon- a garantire la sicurezza nel mondo dell’automobilismo e mi fa venire la nausea: anche se uno o due piloti di F1 si sono salvati grazie alle barriere metalliche che ha voluto lui a bordo pista, i cimiteri sono pieni di giovani piloti di moto”. Perché è assolutamente vero: i gestori delle piste mettevano le esigenze della F1 davanti alle nostre, i loro piloti erano miti e i motociclisti erano considerati di serie B, quando invece si sarebbe potuto cercare una soluzione comune.

Kenny Roberts gli piaceva molto, ma Jon garantisce di essere stato il primo pilota a usare l’appoggio del ginocchio interno, fin dal ’70, ispirato da un connazionale pazzo che aveva messo il motore di un’auto Honda sul telaio di una moto da corsa. E la Cagiva? Ekerold portò i primi punti a Varese eppure gli preferirono Virginio Ferrari, l’idolo italiano. Avessero avuto fiducia in lui, assicura, “nell’84 avremmo potuto competere per il titolo mondiale della 500”.

“Il privato” Jon Ekerold è edito da Mala Suerte Ediciones. La versione italiana, tradotta da Marina Cianferoni, ha 280 pagine, prezzo di copertina 20 euro. Info sul sito lamalasuerte.es.

In collaborazione con Moto.it

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