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Il Codice De Silva: "I miei segreti di car designer"

Walter De Silva ha sempre avuto l’Alfa Romeo nel cuore ma è nel gruppo Volkswagen che ha raggiunto l’apice di una carriera entusiasmante: responsabile dello stile di tutti i brand (12) con 1.700 designer da gestire e tanti, a volte troppi, top manager da accontentare. La sua missione continua oggi da Monaco di Baviera, dove ha sede la «De Silva & Partners» che collabora con i principali marchi mondiali sviluppando anche l’AeroDesign, un nuovo processo ideato con Dallara per una osmosi ideale tra design e aerodinamica. L’ineguagliabile patrimonio di esperienze ed emozioni accumulate in decenni di lavoro è sintetizzato in una biografia agile e divertente (Il Codice De Silva, Artioli Editore, 258 pagine con testi anche in inglese, 70 euro) presentato a Milano presso l’’ADI Design Museum, dove il celebre stilista ricevette nel 2011 il Compasso d’Oro alla carriera. Il libro, che al posto delle fotografie offre inediti disegni e bozzetti delle sue più prestigiose vetture, è un romanzo dell’automotive con aneddoti curiosi che raccontano il design automobilistico globale. Una storia affascinante in cui si alternano anche tanti colleghi di De Silva, da Giorgetto Giugiaro (“Il maestro di tutti che con modestia e intelligenza ti spiegava perché la sua scelta era giusta”) all’allievo prediletto Flavio Manzoni, oggi capo dello Stile Ferrari. Leggendo il Codice De Silva si scoprono i meccanismi che agiscono all’interno delle case automobilistiche, si scopre come nasce lo stile di un’auto e come si arriva alla sua realizzazione. Ma non mancano narrazioni anche piccanti delle discussioni che portano a compimento il progetto. «Bisogna saper convincere e condividere, sovente mediare. Cantarella, ad esempio, non volle mai che chiamassi Milano un’Alfa Romeo, la vettura che anche i bambini sognano di disegnare. Ho avuto grandi maestri che mi hanno insegnato a rapportarmi con gli altri, perché l’auto nasce da un team». De Silva racconta come è arrivato al vertice di un grande gruppo dovendo affrontare autentiche battaglie all’interno della propria azienda per convincere della validità di un progetto presidenti e amministratori delegati. «Devi fornire certezze, perché lo stile si presta alle interpretazioni più disparate». La stessa «semplicità delle forme» che hanno sempre caratterizzato i suoi progetti, De Silva l’ha trasferita nella scrittura, riuscendo a trasmettere stati d’animo, pathos, umori e malumori che hanno caratterizzato la genesi di tanti modelli. Molti degli episodi narrati riguardano nomi celebri del gotha motoristico mondiale, come gli ingegneri Ghidella e, appunto, Cantarella (protagonisti del complicato periodo attraversato dal Gruppo Fiat negli ultimi anni dello scorso secolo), insieme con l’Avvocato Agnelli e il fratello Umberto. E poi, i vertici del Gruppo Volkswagen, dove comandava un monarca geniale come il professor Ferdinand Piëch, nipote di Ferdinand Porsche. «Proprio lui mi ha voluto nel gruppo tedesco e il nostro rapporto è stato sempre splendido, era un visionario che anticipava il futuro». Ma i veri protagonisti del «Codice De Silva» sono naturalmente tutti i celebri modelli del designer milanese, come i prototipi Alfa Romeo Proteo e Nuvola e le berline 156 e 147. Ancor di più i modelli studiati e progettati per il Gruppo Vw. Brilla l’Audi A6 terza generazione, su cui ha debuttato la calandra «single frame» che dal 2004 caratterizza l’intera produzione di Ingolstadt. E il presente? «La spinta dell’elettrico parte da presupposti sbagliati. Avremmo prima dovuto valutare quanta energia abbiamo a disposizione e come gestire il rapporto tra energia e trasporto. E poi lasciatemelo dire, nelle strade si vedono tante auto brutte, grandi e prive di identità. Il desgn è calore e poesia, quella che manca oggi. Troppi giovani stilisti vengono “trainati” dai computer e vogliono fare tutto in fretta. Invece non basta tracciare linee, serve lavoro di team, l’analisi collettiva. Le auto vanno studiate, toccate: io convinsi Piëch a costruire una pista di prova a Barcellona perché nessun altro posto offriva una luce così intensa, ideale per scoprire anche il minimo difetto».

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